Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato...
(da Novelle per un anno, «L’uomo solo», Arnaldo Mondadori, Milano, Vol. I, p. 588-594)
Breve sintesi della novella
Belluca consuma i propri giorni con rassegnazione e
insensibilità disumane, come un asino con tanto di paraocchi, nella sua
prigione cittadina, tra le mura di un ufficio dove svolge un arido lavoro di
computista e quelle di una casa trasformata in una vera bolgia infernale per la
vociante compresenza di una moglie, una suocera e la sorella di lei (cieche),
due figlie vedove e sette nipoti, per il cui mantenimento si è procurato un
mortificante lavoro extra di copiatura. Ma improvvisamente ecco il guizzo
folgorante della rivelazione del "vuoto arioso del mondo, una realtà
dimenticata, ma viva, fatta di città sfavillanti di luci e di maestosi
spettacoli naturali; a scoperchiare il sepolcro di Belluca basta l'immagine del
viaggio evocata dal fischio di un treno, con effetti dirompenti nell'immediato:
la ribellione ai soprusi e l'aggressione al capoufficio, interpretati come
un'improvvisa follia. Per gli altri, infatti, non può essere imputabile che ad
una forma farneticante di alienazione mentale la ragione (un fatto così
banalmente quotidiano da non farci caso!) addotta da Belluca per il suo
imprevedibile comportamento: «Il treno ha
fischiato …». Squarciato il velo, si potrà anche ritornare alla vita di
prima, pur di concedere all'immaginazione di fuggire talvolta dallo strappo e
prendere una«boccata d'aria», a fare una «capatina» altrove.
Prigione del quotidiano, alienazione a sé e al mondo esterno,
momenti epifanici, ambiguità della nozione di follia (quello di Belluca, per
chi sappia esaminarlo in profondità, è un caso "naturalissimo"), fuga
nel lontano dello spazio (o del tempo): sono i motivi tematici che Pirandello
mette in gioco in questa novella (1914), perfezionando, con magistrale strategia
narrativa, il consueto modello strutturale del racconto post factum,
che parte dall'epilogo per ricostruire e soprattutto interpretare gli eventi,
secondo l'abituale scansione in segmenti narrativi (sei addirittura,
data la brevità del testo, di varia durata). Qui, dopo un movimentato inizio in medias
res (1) il
percorso all'indietro si sdoppia in due momenti: (2) il racconto esterno del fatto
nella prospettiva dei colleghi d'ufficio e (6)secondo il punto di vista interno del protagonista. A far da
mediazione i tre brevissimi segmenti centrali in cui improvvisamente la voce
narrante si personalizza sotto le spoglie di un vicino di casa, testimone e
personaggio del racconto.
Alla notizia del fatto, accingendosi a far visita a Belluca,
immediatamente rifiuta per il caso l'etichetta di "pazzia",
prospettando una narrazione naturale dell'accaduto (3), cioè come "coda"
conveniente a quella vita "mostro” del vicino (4), che ora ricostruisce in un rapido
flash-back (5).
Si tratta dunque di una novella che esalta la costruttività
"frantumata" del narratore pirandelliano, con la decomposizione e
ricostruzione continua della linearità temporale, la variabilità dei punti di
vista, la metamorfosi della voce narrante (che tende sempre di più ad assumere
il ruolo di interprete veritiero dei fatti), l'alternarsi di momenti
rappresentativi e scenici e di pause meditative.
Testo
(1) Inizio in medias res
1
Farneticava[1]. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i
2
compagni d'ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall'ospizio[2], dove erano stati a visitarlo.[3]
3
Pareva provassero un gusto particolare a darne l'annunzio coi termini scientifici, appresi or
4
ora dai medici, a qualche collega
ritardatario che incontravano per via:
5
- Frenesia, frenesia
6
- Encefalite.
7
- Infiammazione della membrana.
8
- Febbre cerebrale.
9
E volevan sembrare afflitti;
ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere
10
compiuto; nella pienezza della salute, usciti
da quel triste ospizio al gajo azzurro
della
11
mattinata invernale.
12
- Morrà? Impazzirà?
13
- Mah!
14
- Morire, pare di no...
15
- Ma che dice? che dice?
16
- Sempre la stessa cosa.
Farnetica...
17
- Povero Belluca!
18
E a nessuno passava
per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell'infelice
19
viveva da tant'anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca
20
diceva e che pareva
a tutti delirio,
sintomo della frenesia, poteva essere anche
la spiegazione
21
più semplice di quel suo naturalissimo caso.[4]
(2) Racconto dei fatti nella prospettiva dei colleghi d'ufficio
22
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti,
s'era fieramente ribellato al suo capo-ufficio,
23
e che poi, all'aspra riprensione[5] di questo, per poco non gli si era scagliato
addosso, dava un
24
serio argomento alla supposizione che si trattasse d'una vera e propria alienazione[6] mentale.
25
Perché uomo più mansueto
e sottomesso, più metodico e paziente di Belluca non si sarebbe
26
potuto immaginare.
27
Circoscritto... sì, chi l'aveva
definito cosi? Uno dei suoi compagni d'ufficio. Circoscritto,
28
povero Belluca, entro i limiti
angustissimi della sua arida mansione
di computista[7], senz'altra
29
memoria che non fosse di partite
aperte, di partite
semplici o doppie
o di storno, e di defalchi e
30
prelevamenti e impostazioni; note,
libri-mastri, partitari, stracciafogli e via dicendo.
Casellario
31
ambulante[8]; o piuttosto, vecchio somaro[9], che tirava zitto zitto, sempre
d'un passo[10], sempre
32
per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi[11].
33
Orbene, cento volte questo vecchio
somaro era stato frustato [12] fustigato senza pietà, così per ridere, per il gusto
di vedere se si riusciva
a farlo imbizzire[13] un po', a fargli
almeno
34
drizzare un po' le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse
levare un piede
per sparar
35
qualche calcio. Niente!
S'era prese le frustate,ingiuste e le crudeli
punture[14] in santa
pace,
36
sempre, senza neppur fiatare,
come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse
più,
37
avvezzo com'era da anni e anni alle continue
e solenni bastonature della sorte. [15]
38
Inconcepibile, dunque,
veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d'una
39
improvvisa alienazione mentale.
40
Tanto più che, la sera avanti, proprio
gli toccava la riprensione[16]; proprio
aveva il diritto
di
41
fargliela, il capo-ufficio. Già s'era presentato, la mattina, con un'aria insolita,
nuova; e - cosa
42
veramente enorme,
paragonabile, che so? al crollo
di una montagna - era venuto con più di
43
mezz'ora di ritardo.
44
Pareva che il viso, tutt'a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva
che i paraocchi gli fossero
45
tutto a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto,
spalancato d'improvviso all'intorno lo spettacolo
46
della vita.[17] Pareva[18] che gli orecchi
tutt'a un tratto gli si fossero sturati
e percepissero per la prima volta voci,
suoni non avvertiti
mai.
47
Così ilare, d’una ilarità
vaga e piena di stordimento, s'era presentato all'ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente.
48
La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza
di lui, esaminati registri, le carte:
49
- E come mai? Che hai combinato tutt'oggi?
50
Belluca lo aveva guardato
sorridente, quasi con un'aria d'impudenza, aprendo le mani.
51
- Che significa? - aveva allora
esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo per
52
una spalla e scrollandolo.
53
- Ohé, Belluca!
54
-Niente, - aveva risposto
Belluca, sempre con quel sorriso
tra d'impudenza e d'imbecillità su
55
le labbra. - I1 treno, signor
Cavaliere.
56
- Il treno? Che treno?
57
- Ha fischiato.
58
- Ma che diavolo
dici?
59
- Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L'ho sentito fischiare...
60
- Il treno?
61
- Sissignore. E se sapesse
dove sono arrivato![19] In Siberia...oppure oppure...nelle foreste del
62
Congo...Si fa in un attimo signor
Cavaliere!
63
Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella
stanza e, sentendo parlare
cosi Belluca, giù risate da pazzi.[20]
65
Allora il capo-ufficio - che quella sera doveva essere di malumore - urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima
di tanti suoi scherzi crudeli.
66 Se non che, questa volta,
la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, si era ribellata, aveva inveito, gridando sempre
quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch'egli aveva
sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva
più esser trattato a quel modo.
67
Lo avevano a viva forza
preso, imbracato[21] e trascinato all'ospizio dei matti.
(3)
Ancora racconto del fatto nella prospettiva dei colleghi d'ufficio
e poi in quella del narratore improvvisamente materializzatosi come vicino
di casa del protagonista
68
Seguitava ancora, qua[22], a parlare di quel treno. Ne imitava
il fischio. Oh, un fischio
assai
69 lamentoso, come lontano,
nella notte; accorato.
E, subito dopo, soggiungeva:
70
- Si parte, si parte... Signori,
per dove? per dove?
71 E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi.
Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro, aggrottati[23], ora gli ridevano
lucidissimi, come quelli
d'un bambino[24] o
d'un uomo felice;
e frasi senza costrutto[25] gli uscivano dalle labbra.
Cose inaudite; espressioni poetiche, immaginose, bislacche[26], che tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo
spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui, cioè a uno che finora
non s'era mai occupato d'altro
che di cifre e registri
e cataloghi, rimanendo
come cieco e sordo alla vita: macchinetta
di computisteria. Ora parlava di azzurre fronti di
montagne nevose, levate
al cielo; parlava di viscidi
cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola.
Cose, ripeto, inaudite[27].
72
Chi venne a riferirmele[28] insieme
con la notizia dell'improvvisa alienazione mentale rimase
73 però sconcertato, non notando in me, non che meraviglia, ma neppur una lieve sorpresa.
74
Difatti io accolsi in silenzio la notizia.
75
E il mio silenzio
era pieno di dolore. Tentennai
il capo, con gli angoli della bocca contratti
76 in giù, amaramente, e dissi:
77 - Belluca, signori,
non è impazzito. State sicuri che non è impazzito. Qualche cosa dev'essergli accaduta; ma naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché nessuno sa bene come quest'uomo ha vissuto finora.
Io che lo so, son sicuro che mi spiegherò tutto naturalissimamente, appena lo avrò veduto
e avrò parlato con lui.
(4)
Interpretazione della vicenda
da parte del narratore come conclusione perfettamente compatibile con l'impossibile vita di Belluca
78
Cammin facendo[29] verso
l'ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a riflettere per conto mio:
79
«A un uomo che viva come Belluca
finora ha vissuto,
cioè una vita "impossibile", la cosa
80
più ovvia, I'incidente più comune, un qualunque lievissimo inciampo impreveduto, che so io,
81
d'un ciottolo per via, possono produrre
effetti straordinarii, di cui nessuno
si può dar la
82
spiegazione, se non pensa appunto
che la vita di quell'uomo è "impossibile". Bisogna condurre
la spiegazione là, riattaccandola a quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà allora semplice
e chiara. Chi veda soltanto
una coda, [30] facendo astrazione dal mostro[31] a cui essa appartiene, potrà stimarla per sé stessa
mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale; ma quale dev'essere, appartenendo a quel mostro.
83
Una coda naturalissima.»
84
Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca.
85
Ero suo vicino
di casa,[32] e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si
86 Aveva con sé tre cieche,
la moglie, la suocera e la sorella
della suocera: queste due vecchissime, per cataratta[33]; l'altra,
la moglie, senza cataratta, cieca fissa; palpebre
murate.
87
Tutt'e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché
nessuno le
88
serviva. Le due figliuole
vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti,
l'una con quattro,
89
l'altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia
da badare ad esse; se mai,
90
porgevano qualche
aiuto alla madre soltanto.
91
Con lo scarso provento
del suo impieguccio di computista poteva
Belluca dar da mangiare a
92
tutte quelle bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte da ricopiare. E
93
ricopiava tra gli strilli
indiavolati di quelle
cinque donne e di quei sette ragazzi
finché essi,
94
tutt'e dodici, non trovavan
posto nei tre soli letti della casa.
95
Letti ampii, matrimoniali; ma tre.
96
Zuffe furibonde, inseguimenti, mobili
rovesciati stoviglie rotte, pianti, urli, tonfi, perché
97 qualcuno dei ragazzi,
al buio, scappava
e andava a cacciarsi tra le vecchie
cieche, che
98 dormivano in un letto a parte, e che ogni sera litigavano anch'esse tra loro, perché nessuna
99 delle tre voleva stare in mezzo e si ribellava
quando veniva la sua volta.
100
Alla fine, si faceva silenzio, a Belluca seguitava
a ricopiare fino a tarda notte, finché la
101
penna non gli cadeva
di mano e gli occhi non gli si chiudevano da sé.
102
Andava allora a buttarsi,
spesso vestito, su un divanaccio sgangherato, e subito
sprofondava
103 in un sonno
di piombo, da cui ogni mattina si levava a stento, più intontito che mai.
(5) Ricostruzione dei fatti nella prospettiva del protagonista
104
Ebbene, signori[34]: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo.
105
Quando andai a trovarlo
all'ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno.
Era, sì,
106 ancora esaltato un po', ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva
dei medici
107 e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.
108
- Magari! - diceva.
- Magari!
109
Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni - ma proprio dimenticato - che il
110 mondo esisteva.
111
Assorto nel continuo tormento
di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei
112 conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia
bendata, aggiogata
113 alla stanga di una nòria[35] o d'un molino,
sissignori, s'era dimenticato da anni e anni ma proprio
114 dimenticato che il mondo esisteva.
115
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato
su quel divanaccio, forse per l'eccessiva 116 stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel 117 silenzio profondo
della improvviso notte,
aveva sentito, da lontano, fischiare
un treno.
118 Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero
sturati.
119
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto
la miseria di tutte quelle
120 sue orribili angustie,
e quasi da un sepolcro
scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante[36] nel vuoto arioso
del mondo che gli si spalancava enorme
tutt'intorno.
121
S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava
addosso, ed era corso col
122 pensiero dietro a quel treno
che s'allontanava nella
notte.
123
C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda,
fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, 124 tanto,
tanto mondo lontano,
a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino,
Venezia... 125 tante città,
in cui egli da giovine
era stato e che ancora,
certo, in quella
notte sfavillavano di
126 luci sulla terra.
Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo
vi aveva vissuto
anche
127 lui! E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia
bendata,
128 girava la stanga
del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo
s'era chiuso per lui, nel
129 tormento della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria...Ma ora, ecco, gli
130 rientrava, come per travaso violento,
nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in
131 questa sua prigione,
scorreva come un brivido elettrico[37] Per tutto il mondo, e lui con
132 l'immaginazione d'improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote,
133 lande[38] montagne, foreste,
mari... Questo stesso
brivido, questo stesso
palpito del tempo.
134 C'erano, mentr’egli qua viveva questa
vita «impossibile» tanti e tanti milioni
d'uomini sparsi su
134
tutta la terra, che vivevano
diversamente. Ora, nel medesimo attimo
ch'egli qua soffriva,
c'erano 135 le montagne
solitarie nevose che levavano al cielo notturno
le azzurre fronti... Si, si, le vedeva,
136 le vedeva, le vedeva così...c'erano gli oceani... le foreste...[39]
137 E, dunque,
lui - ora che il mondo gli era rientrato nello spirito - poteva in qualche modo 138 consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento
per prendere con l'immaginazione una 139
boccata d'aria nel mondo[40].
140
Gli bastava!
141
Naturalmente, il primo giorno,
aveva ecceduto. S'era ubriacato. Tutto il mondo,
dentro d'un
142 tratto: una cataclisma[41]. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro[42] della
143
troppa aria, lo sentiva.
144
Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio, e avrebbe
145 ripreso come prima
la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai non doveva
pretender
146
troppo da lui, come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e
147 l'altra da registrare, egli facesse una capatina[43], sì, in Siberia... oppure oppure... nelle
foreste
148 del Congo:
149
- Si fa in un attimo,
signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato...
Note al testo
[1] Farneticava: vaneggiava, diceva cose senza senso. Il
termine, sintetizza la prima sequenza narrativa incentrata sulla presunta
malattia mentale da cui si ritiene sia stato colpito il protagonista della
novella. Non sfugga, inoltre, che la voce verbale all'imperfetto sottolinea la
distanza tra il tempo in cui il narratore racconta la vicenda ed il tempo in
cui essa è collocata: al momento della narrazione la vicenda raccontata si è
già conclusa.
[3] Nella
prima unità il racconto è condotto da una voce narrante esterna che enuncia il
fatto e in seguito lo ricostruisce dal punto di vista di "personaggi
testimoni, i colleghi d'ufficio del protagonista, portavoci del parziale e
riduttivo senso comune.
[4] Naturalissimo
caso: ciò che ai compagni d'ufficio appare pazzia non è
tale per il narratore il quale, invece, insinua già ora che il caso di
Belluca può avere una spiegazione "naturalissima" e semplicissima,
che sia conseguenza delle sue particolari condizioni di vita: è il tema
del relativismo, del contrasto tra ciò che appare e ciò che è.
[7] Computista:
Chi teneva i conti in un'amministrazione commerciale. In particolare, la
computisteria è quella parte della ragioneria relativa all'applicazione
dell'aritmetica ai problemi amministrativi
[8] Casellario
ambulante: schedario semovente. Attraverso la metafora Belluca
è ridotto a "cosa", un’arida macchinetta o contenitore di numeri.
[9] Vecchio
somaro: Belluca è uno dei personaggi pirandelliani
«claustrati» nel proprio ambiente sociale, nel buio di un'angusta e rassegnata
esistenza. In Belluca Pirandello accentua fino ai limiti della degradazione ad animale (il somaro tradizionalmente poco
nobile e intelligente, ma paziente lavoratore) la figura del travet,
dell'impiegato, presente nella narrativa post-verista di fine Ottocento. Questa
seconda metafora lo connota non solo sul piano professionale, ma su un
più generale livello esistenziale: essere limitato nelle vedute e sopportare
qualunque fatica e maltrattamento, come un somaro, non è caratteristica
esclusiva di Belluca impiegato, ma della sua più complessiva personalità che,
come vedremo, si manifesta anche nella sfera privata e familiare. Tutta la
descrizione del comportamento di Belluca, personaggio senza volto, si articola
attraverso la metafora animalesca che sarà sviluppata nelle proposizioni
successive.
[11] paraocchi
: pezzi di cuoio applicati alla testiera di un cavallo (o di un
asino) che, limitandone la visualità, impediscono che l'animale si adombri.
[14] Punture: punzecchiature
di insetti, qui le cattiverie e i soprusi a cui lo sottopongono i colleghi per
farlo reagire.
[15] Avvezzo
com'era…sorte: La non reattività di Belluca, l'estraneità alla vita che
gli fanno sopportare di tutto apparentano il personaggio a Tullio Buti (Il
lume dell'altra casa, 1928, p. 577)
o il professor Corvara Amidei di (Va bene,1905, p. 952) bastonati e
travolti dalla vita, più che alla filosofica non partecipazione dei personaggi
che hanno capito il gioco, da Perazzetti (Non è una cosa seria, 1928, p. 366 ) a Memmo Viola (Quando
s'è capito il gioco, 1913, p. 839),
capaci di volgere a proprio vantaggio la loro cosciente alienazione.
[16] Inconcepibile... riprensione:
non sfugga come l'improvvisa ribellione di Belluca sia considerata frutto di
alienazione mentale. Evidentemente, attraverso l'uso dello stile indiretto
libero, i fatti sono riferiti dal punto di vista dei colleghi. Infatti, il
narratore ha già anticipato che, a suo modo di vedere, si tratta di una naturalissima reazione.
[17] Lo
spettacolo della vita: la nuova capacità di vedere; la metafora visiva, per
introdurre l'improvvisa rivelazione dell'oltre (lo spettacolo della vita) è
ricorrente in Pirandello. Qui lo strappo nella ragnatela del quotidiano è
affidato alla sensazione uditiva, precisata poi attraverso quell'altro
altrettanto banalmente quotidiano fischio del treno evocato dall'enigmatico
titolo della novella.
[18] Pareva...
pareva... pareva: L'anafora scandisce l'improvvisa mutazione che
i colleghi hanno registrato sul volto di Belluca.
[19] Sapesse
dove sono arrivato! : Il fischio del treno richiama la serie tematica
del viaggio, della lontananza, della fuga.
[20] risate
da pazzi: Il riso, qui come in altri casi (La Verità, 1912, p. 655) è sintomo della superficiale valutazione
delle apparenze da parte degli altri.
[22] Qua: al
manicomio. Colmata la lacuna nella successione dei fatti
"inconcepibili" e inspiegabili (e quindi imputabili alla follia di
Belluca), il racconto ritorna alla situazione iniziale, per ripartire
nuovamente verso una seconda ricostruzione degli stessi, ma oltre la
superficie, scavando nelle ragioni profonde, così che il fatto divenga
"naturalissimo" e comprensibile.
[24] Come quelli
di un bambino: è l'infantile meraviglia che accompagna la scoperta
dello spettacolo della vita.
[27] Sconcertante
e stupefacente per i colleghi, è ora dopo l'episodio della ribellione, la
completa trasformazione di Belluca da "macchinetta" per computisteria
a immaginifico e poetico osservatore della natura.
[28] Nota
l'improvvisa personalizzazione della voce narrante che diventa un
"io" testimone, che annuncia di possedere la chiave di una verità che
agli altri sfugge perché conosce bene Belluca.
[29] L'io
narrante diventa ora personaggio fondamentale del racconto: recandosi a trovare
Belluca, avrà da lui la spiegazione del suo naturalissimo caso.
[30] una coda:
ancora una metafora. La parte conclusiva della vicenda è assimilata a una coda,
parte conclusiva di un animale e per di più di un mostro, perché tale,
cioè sconcertante, è dal punto di vista dei colleghi il comportamento di Belluca.
[31] Senza tener
conto del mostro: Nella pausa meditativa del monologo interiore la voce
narrante, con questa metafora , ammonisce che, per emettere qualsiasi giudizio
su un fatto apparentemente inspiegabile e anormale, non bisogna accontentarsi
dell'apparenza, né tanto meno astrarlo da tutto l'insieme dei dati e dei
sentimenti che lo hanno preceduto.
[32] Ero...
di casa: La voce narrante si personalizza sempre più. L'affermazione
conferma in modo esplicito che il narratore è anche coprotagonista della
vicenda.
[33] cataratta:
malattia dell'occhio che rende opaco il cristallino e provoca forte
riduzione o perdita della vista.
[34] Ebbene
signori… Nota l'interlocuzione tipica del "recitativo"
pirandelliano che chiama in causa direttamente il lettore.
[35] nòria:
macchina costituita da un complesso di secchielli che, girando, sollevano
l'acqua da un punto e la rovesciano in un altro. Sia la nòria che la macina di un mulino venivano messe
in moto da un animale da lavoro che, bendato, camminava in cerchio, legato ad
una sbarra che trasmetteva il movimento. Come nella prima parte del
racconto si ripete la metafora del vecchio somaro; la similitudine “come
una bestia bendata” qui propone l'immagine di una vita da bestia, bendata sia
nel lavoro, sia nell'ambiente familiare, per sottolineare lo stato di
abbrutimento raggiunto da Belluca proprio quando gli altri, i colleghi
d'ufficio lo ritenevano una persona normale.
[37] Come un
brivido elettrico: efficace similitudine che esplica in immagine
concreta il senso di vitalità provato da Belluca.
[39] ancora un
interessante uso dello stile indiretto libero. L'effetto è un'ulteriore
variazione del punto di vista del narratore che ora, per queste espressioni di
sfogo e per il tono di viva partecipazione, pare coincidere con quello dello
stesso Belluca.
[40] Il fischio
del treno è la voce di una vita "altra" che esiste e continua oltre
tutte le tormentose angustie e miserie dell'hic et nunc, e si rivela
improvvisa nella notte, con l'evocazione della maestosità di certi spettacoli
naturali (le montagne, gli oceani, le foreste): una realtà lontana da opporre,
nella sua concretezza e verità, allo squallore opprimente della propria. Questo
è il conforto e la consolazione per una condizione di vita subumana, come per
il giovane, maltrattato, lavoratore di Zolfara Ciaula che nelle tenebre della
miniera sale a scoprire nel cielo la luna (Ciaula scopre la luna 1912, p. 1272), o
anche il rimedio contro le quotidiane difficoltà del vivere.
[43] una capatina: ecco
allora la temporanea evasione nel lontano, piccolissima trasgressione che
consente di accettare il compromesso con l'angusta realtà di ogni giorno. Sul motivo
dell'atto trasgressivo e liberatore si fonda la novella "La carriola (1917, p, 714). Tutto il
brano, a partire da "C'era, ah!…” usa la tecnica dell'indiretto libero.
In tutta la prima sequenza e in alcune
parti della seconda e della terza, i punti chiave della pazzia e della
ribellione di Belluca sono affidati al dialogo; attraverso esso il
racconto risulta agito davanti al lettore, che diviene una sorta di spettatore
teatrale; un vero abbattimento della simbolica quarta parete
teatrale compare al rigo 122 in cui il narratore interloquisce direttamente col
lettore, come un personaggio di un Prologo teatrale col suo pubblico: «Ebbene
signori: a Belluca in queste condizioni era accaduto un fatto naturalissimo … ».
É anche questo un modo originale dello scrittore per coinvolgere il
lettore nel dibattito delle idee.
Analisi dei motivi liberi e legati posti in ordine cronologico
Belluca da giovane aveva viaggiato e conosciuto un'esperienza normale di vita (146) (Analessi)
Belluca fa il computista e pare aver completamente dimenticato la sua vita precedente (28)
Non si è mai occupato d'altro che di cifre, registri e di
cataloghi (69) (punto di vista dei colleghi)
I colleghi(33-36) e il capufficio (69) son soliti
fargli scherzi crudeli e stupidi per farlo spazientire
Di solito Belluca non reagisce (imperfetti) (36 - 38) (Analessi dal punto di vista dei colleghi)
Due sere prima , dopo
essersi buttato a dormire aveva sentito da lontano fischiare il treno (136)
Il fischio lo aveva portato lontano
nel tempo e nello spazio (137-142) alla sua giovinezza e altrove
Il mondo gli era rientrato nello
spirito e ne aveva avuto consolazione (158)
(analessi dal punto di vista di Belluca)
L'indomani mattina era venuto in ufficio con mezz'ora di ritardo ilare e
allegro (43)
Tutto il giorno non aveva combinato niente (50)
La sera il capufficio
aveva esaminato i registri (51)
Il capufficio lo aveva ripreso (sequenza dialogica) (52- 57)
Belluca aveva cominciato a farfugliare di treno… (58)
Il capufficio si era messo a gridare imbestialito (66)
Gli impiegati erano accorsi (66)
Gli impiegati giù risate da pazzi (66)
Il capufficio aveva malmenato la vittima (69)
Belluca la sera avanti s'era
fieramente ribellato al suo capufficio (22) Per poco Belluca non gli si era
scagliato addosso (23) Belluca aveva inveito gridando (71) (particolare
raccontato tre volte)
Belluca era stato trascinato all'ospizio dei matti (74) (Analessi dal punto di vista dei colleghi)
(L'indomani) I compagni
erano stati a trovarlo all'ospizio (2)
Durante la visita Belluca continuava ancora a farneticare e
a dire cose inaudite con un linguaggio fiorito (punto
di vista dei colleghi) (75-85)
Di ritorno dall'ospizio i colleghi ripetevano la diagnosi
del medico ai colleghi ritardatari e
commentavano usando svariati termini scientifici (1-8)
Volevano sembrare afflitti ma erano
contenti di aver assolto ad un obbligo formale (10)
Usciti dall'ospedale erano contenti
perché stavano bene e non erano in quel triste ospizio ma al gaio azzurrro
della mattinata invernale (10) (punto di
vista del narratore)
I colleghi ritengono che proprio gli toccava la riprensione
(41)
Commentano e compassionano Belluca facendo ipotesi sul suo
futuro (12-17)
Sono convinti che si tratti di alienazione mentale (24) Analessi dal punto di vista dei colleghi
Vanno a riferire l'accaduto al narratore(86)
Con lui commentano
meravigliati (la macchinetta da computisteria parla di azzurre
fonti e cetacei che con la coda
facevano la virgola (75-85) (Analessi dal punto di vista dei colleghi)
Questi non se ne meraviglia e accoglie la notizia in
silenzio e pieno di dolore (88-89)
Afferma che il comportamento di Belluca è assolutamente
normale e che potrà fornire una spiegazione dell'accaduto dopo essere andato a
fargli visita (90-93)
L'infelice da trent'anni viveva in condizioni specialissime
(monologo del narratore) (95-121)
* Il narratore va a
trovare Belluca (124) (*giorno dal quale parte
l'analessi)
Lo trova che se la ride di medici, infermieri e colleghi
(125-126)
Belluca gli racconta quanto gli è capitato (123) (Analessi dal punto di vista
di Belluca)
Esprime il proposito di andare a chiedere scusa al
capufficio, ma si concederà di tanto in tanto qualche fuga con l'immaginazione
(164) (Prolessi)
Analisi del testo
1. Contestualizzazione
«Il treno ha
fischiato», novella composta
nel 1914, è tratta da Novelle per un anno, l'opera nella quale
Pirandello raccolse, a partire dal ’22, in un corpus unitario la sua intera produzione di testi narrativi brevi,
che venne componendo fino agli ultimi anni della sua vita.
Si è parlato a questo
proposito di una lunga fedeltà dello scrittore al genere “novella” e il suo
intento di volersi allacciare all'antica tradizione della novellistica classica
in quanto genere letterariamente consolidato. Ciò è evidente nella scelta del
titolo: “novelle” e non “racconti”, come sarebbe stato più giusto
dati i contenuti vari, in gran parte realistici, ma anche surreali. Ma a
differenza della novellistica classica, in Pirandello la riflessione e
introspezione prevalgono sull’intreccio caratteristiche queste caratteristiche proprie
del racconto ottocentesco.
1 a) Le Novelle per un anno
Lungi dal costituire solo un vasto repertorio
tematico per i romanzi e le opere teatrali, come si sarebbe indotti a pensare
per la doppia versione narrativa e teatrale di molti soggetti, le novelle
rivelano invece una loro unitarietà in quanto genere concluso ed organico per
unità di discorso (rispetto all'ideologia di Pirandello, quale emerge
dall'intero corpus delle sue opere) e
di percorso tematico; è quanto, peraltro, suggerito dallo stesso narratore che
nell’ «Avvertenza” al primo volume del ‘22 mette in relazione le sue Novelle
per un anno con le celebri raccolte Le Mille e una notte e Il
Decameron .
L'assenza però di una cornice
e di una qualsiasi organizzazione strutturale o di una classificazione per temi
dell'intera raccolta, appare perfettamente rispondente alla concezione della
vita del nostro scrittore fondata sui concetti di disgregazione della
personalità, sull'elemento distruttivo che si cela in ogni atto di vita, sull “umorismo”
che «come un'erma bifronte piange con un volto del riso dell'altro» e
sulla totale assenza di fiducia nella univocità del reale.
In quanto rappresentazione di
questa concezione, l'opera nel suo complesso non può avere un ordine
in quanto ogni novella «è lo specchio della vita» e «tutte la
riflettono per intera», come era opinione dello stesso autore.
1 b) Collocazione del testo nelle Novelle per un anno e nell'intera opera Pirandelliana
Il treno ha fischiato è una
novella di ambientazione cittadina. Come in gran parte delle novelle così
classificate (se vogliamo adottare la tradizionale divisione che distingue
appunto le novelle "paesane", di ambientazione siciliana da quelle
"cittadine" di ambientazione romana, dalle ultime,
"surrealiste", posteriori al 1831) tornano in questa
novella temi e motivi cari allo scrittore umorista:
·
il dramma
della solitudine e dell'incomunicabilità;
·
il tema del
“doppio” con l'improvvisa illuminazione e l'affiorare, attraverso un evento
assolutamente casuale, di una parte dell'io sepolta nel profondo della
coscienza;
·
lo
squarciarsi improvviso del velo di tenebre e di oppressione in cui da anni vive
il protagonista;
·
la
costatazione della pena del vivere e del vedersi vivere;
·
la pseudo
oggettività del fatto o dei fatti presunti tali dal tribunale della società che
implacabile ha impresso un marchio e una condanna al povero Belluca (prima
macchinetta contabile, poi inequivocabilmente pazzo);
·
l'interpretazione
dell’intera vicenda, da parte del “narratore umorista”, in un'ottica
completamente ribaltata.
1 c) Riferimenti culturali
Come è noto il
tema del doppio Pirandelliano che traspare da questa novella [più che al
pensiero di Freud e alla sua nota distinzione dell'esistenza, nelle regioni
della Psiche, di in io cosciente, di un es pieno
di istinti e di desideri repressi, di un super es che
controlla comportamenti e pulsioni dell'uno e dell'altro, che nella
letteratura contemporanea avrebbe dato vita alla creazione del motivo dello
sdoppiamento della personalità e del doppio (si pensi a Lo
strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson,
al Ritratto di Dorian Gray di Wilde, al Sosia di
Dostoewskij, per limitarsi agli esempi più celebri], è da porre in relazione
oltre che con le riflessioni derivate dalla personale esperienza autobiografica
dello scrittore, con la lettura di Les alteration de la
personalité di Alfred Binet il quale teorizzava dello
stratificarsi nella coscienza, attraverso il tempo, di stati successivi, alcuni
dei quali, creduti morti e sepolti in un remoto passato, affiorano
inopinatamente senza un preciso richiamo consapevole: è quanto accade appunto a
Belluca attraverso la folgorazione improvvisa del fischio di un treno, che gli
fa scoprire una parte di sé dimenticata, squarciando il velo di tenebre e di
oppressione in cui da tempo immemorabile vive.
1 d) Tema della
novella
Tema
della novella, come suggerisce il titolo Il treno ha fischiato, assunto nell'ottica del
protagonista come l'evento risolutorio della sua «impossibile» esistenza, è
il viaggio verso un "altrove" del tempo e dello spazio,
che lo conduce oltre le miserie e angustie della sua grigia
quotidianità murata nel chiuso della casa e
dell'ufficio, rivelandogli improvvisamente una realtà un tempo
familiare, della quale riappropriarsi per spaziare più oltre in luoghi remoti,
sconosciuti, aperti per liberi voli della fantasia; tante piccole pause o
boccate d'aria da concedersi, di tanto in tanto, per rendere più tollerabili i
doveri e le mansioni quotidiane.
2. Tempo e spazio: realtà e simbolo
2 a) Tempo esterno e
spazio reale
Nel racconto esistono un tempo e uno spazio cornice, reali e
culturali, non descritti (Pirandello non ama le descrizioni dirette, né di
luoghi né di tempi né di personaggi) ma desumibili dai luoghi in cui si muovono
i personaggi e dal loro comportamento, che tracciano il quadro complessivo di
una realtà urbana piccolo borghese di fine Ottocento ancora provinciale: un
ceto impiegatizio subalterno, e sottomesso a un capufficio prevaricatore e
fiscale, che lascia intuire l'assenza di qualsiasi tutela sindacale dei
lavoratori; le case di periferia condominiali e in affitto come quella abitata
da Belluca e dal narratore, l'ospizio dei matti come luogo (anche nel nome) di
segregazione e di emarginazione. Anche i comportamenti denotano un'epoca e un
preciso ambiente piccolo borghese, ancora provinciale nei rapporti: da una
parte la terribilità nella coscienza collettiva della follia e i metodi
costrittivi adottati nei confronti del presunto folle, «preso, imbragato e
trascinato di peso e a viva forza» nell'ospizio dei
matti come un individuo pericoloso, ancorché la stranezza del suo comportamento
non vada oltre apparenti sproloqui verbali; dall'altra il formalismo e la
convenzionalità dei rapporti (la visita come dovere formale), il chiacchericcio
e la sterile pietà, la curiosità fine a sé stessa.
Gli
interni in ufficio come a casa appaiono costruiti, invece, in funzione
dell'esistenza segregata del personaggio protagonista, letteralmente
sommerso in ufficio da libri mastri, scartafacci e registri, oltre che dagli
scherzi idioti di colleghi e capoufficio, a casa dal tormento di una
"singolare" famiglia e dai lavori contabili terminati a tarda notte,
quando il disgraziato personaggio letteralmente sprofonda sfinito di stanchezza
su un divanaccio sgangherato; questi luoghi, chiusi nel tempo e nello spazio
per il succedersi di una vita sempre uguale e oppressa, paiono corrispondere a
una bara come si inferisce dall'espressione «sepolcro scoperchiato» (r.138)
contrapposto al «vuoto arioso», inaspettatamente apertosi per
l'improvvisa rivelazione
del fischio del treno.
Si riflette, evidentemente, in questa rappresentazione, la
concezione dello scrittore siciliano della famiglia come vera e propria
prigione, specchio
delle rigide convenzioni che regolano la vita sociale, per i doveri e le
necessità che impone, e a cui è assolutamente impossibile sottrarsi (La
ritroviamo in numerose altre novelle: La carriola, il viaggio, Ma non è
una cosa seria). Né Belluca o i personaggi pirandelliani pensano
minimamente a farlo, anche dopo aver preso coscienza dei condizionamenti
imposti da tali doveri e necessità.
2 b) Tempo e spazio simbolico e relativa interpretazione del significato del testo
La fine della novella con lo spaziare arioso del protagonista che si porta verso luoghi lontani nel tempo e nello spazio di una vita rimossa, quella della giovinezza, ad altri sconosciuti e aperti, evidenzia il significato simbolico del cronotopo pirandelliano [nella accezione di M. Backtin il cronotopo è il rapporto tra le coordinate spaziali e temporali che danno forma a un testo letterario (Estetica e romanzo, Einaudi, 2001)]: alla dimensione monotona e sempre uguale di una vita chiusa e bloccata in una casa-ufficio prigione o tomba - nei termini sopraindicati - in cui il vivere diventa lasciarsi vivere e subire tutte le angherie più o meno gratuite, le «bastonature della sorte» e degli uomini - corrisponde, dopo l'improvvisa epifania provocata dal fischio del treno, una fuga verso l'altrove, verso un tempo che fluisce, verso uno spazio sterminato e vario. La novella, applicando ad essa le categorie lotmaniane, evidenzia la contrapposizione dentro vs fuori, chiuso vs aperto, vicino vs lontano, assenza del tempo vs dimensione del tempo.
Solo attraverso la possibilità per l'individuo di potersi
appropriare del proprio passato e di sentirlo come proprio (ancorché lontano,
ma parte significativa del proprio essere -se non ci si vuol ridurre a cose senza tempo e senza
memoria e quindi senza vita-), solo
attraverso la possibilità di fuga dall' «ispida
angustia» del quotidiano, in una dimensione
libera e viva, l'angoscia
metafisica dell'esistere può trovar tregua, secondo lo scrittore agrigentino:
non è un caso che sia proprio il viaggio attraverso un mondo in gran parte
inaccessibile, ma comunque aperto e infinito «per città note e ignote, lande
montagne foreste, mari» che Belluca scopra
in sé l'anima sepolta di un poeta. La fuga di Belluca non è solo un'evasione
momentanea da quella «circoscritta» esistenza, da quella camicia di
forza reale e metaforica in cui pare averlo relegato la quotidianità del vivere
e la
cieca ottusità della gente comune (i veri "circoscritti"
della storia, con
la loro angusta visione della vita e le loro categoriche certezze, capaci solo
di irridere gli altri, senza scorgere la chiusura di orizzonte e l'aria
stagnante del loro essere); é invece la fuga dalla prigione della forma in cui per Pirandello
consiste il vivere, qui contrapposta
all'immersione nell'essere, nel "panta rei" del flusso vitale,
costante tema della produzione pirandelliana. L'illuminazione di Belluca
richiama quella di un altro notissimo personaggio delle novelle, Ciaula di Ciaula
scopre la luna. Come per Ciaula e Belluca, anche per Pirandello, nella
visione desolata del vivere e nel suo nihilismo esistenziale la scoperta della
natura o di luoghi incontaminati è l'unico porto, rifugio di riposo per gli
uomini affannati.
3. La tecnica narrativa: Punto di vista; tempo interno del racconto (durata, fabula, intreccio)
3 a) Focalizzazione
La novella, costruita secondo la tecnica del racconto-inchiesta, è il resoconto di un caso -la presunta pazzia di Belluca- condotto attraverso un 3doppio racconto: dal punto di vista dei colleghi e dal punto di vista del personaggio, portatori di due verità, tra le quali funge da mediatore un narratore-testimone che fa il resoconto della vita del protagonista, materializzandosi nel corso del racconto come suo vicino di casa, e riflette su entrambe le verità, ristabilendo la giusta interpretazione (focalizzazione interna multipla secondo la terminologia di Genette.
3 b) Durata
L'episodio che dà vita al caso, divenuto oggetto di una vera e propria indagine, si svolge tutto nello spazio di due giorni: dall’ "evento" del fischio del treno «due sere prima» (rispetto al momento della ricostruita verità) (rigo 133); al "fatto" di presunta pazzia del protagonista, la «sera avanti» (rigo 22) (rigo 71); al resoconto fatto l'indomani dai colleghi (rigo 1-85); all'ipotesi opposta e all' indagine del narratore (righi 86-122); infine alla ricostruzione del diretto interessato (righi 123-140) che richiude circolarmente la vicenda al punto di partenza, ma con una diversa lettura della stessa.
3 c) Macrosequenze
Il testo complessivamente si articola in quattro macrosequenze che non seguono esattamente la scansione degli spazi bianchi: una prima (1-21) costituisce l'antefatto dell'episodio, in cui viene data per scontata la pazzia di Belluca secondo il verdetto di medici e il filtro soggettivo dei colleghi, la seconda (22-85) che racconta dalla prospettiva di questi ultimi , in analessi e nei dettagli la giornata in ufficio culminata con la ribellione di Belluca e il suo trasferimento all'ospizio dei matti, oltre alle impressioni riportate l'indomani durante la visita all'ospizio; la terza (86-121) in cui il narratore ricostruisce, in quanto persona informata sui fatti, con una seconda analessi, le condizioni di vita in famiglia del protagonista; la quarta (123-162) dello stesso protagonista che riprende più a monte, a partire dal fischio del treno, lo stesso episodio raccontato dai colleghi, con una puntata retrospettiva ai ricordi della lontana giovinezza affiorati alla coscienza e una conclusiva prolessi sui suoi progetti futuri.
3d) Fabula
Dall'analisi dei motivi liberi e legati della novella possiamo ricostruire l'intreccio (i fatti come sono raccontati nel testo), e da questo risalire alla fabula (i fatti in ordine cronologico), òche può essere così articolata:
·
La lontana giovinezza di Belluca
sepolta nel fondo della sua coscienza
·
La vita impossibile tra casa e ufficio
·
L'improvvisa illuminazione al
fischio del treno
·
La ribellione al capufficio e il
trasferimento all'ospizio dei matti
·
I propositi di vita futura
3 e) Intreccio
Rispetto alla fabula l'intreccio, quale emerge dall'analisi delle sequenze, presenta un ordine completamente rovesciato: l'incipit muove post factum dal punto di massima tensione drammatica: «Farneticava. Principio di febbre cerebrale» che dà per definitivamente spacciato il povero Belluca, annunciando la sua pazzia come "fatto" posto come verità assoluta, come è rimarcato dal racconto in termini scientifici del verdetto medico. Su questo fatto oggettivo - o presunto tale nell'ottica del narratore - viene anticipato fin dalla prima sequenza il binario della doppia verità, che sarà adottato nel prosieguo del racconto, insinuando fin dall'inizio l'ipotesi che «tutto ciò che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia" fosse invece un «naturalissimo caso".
3 f) Sviluppo narrativo
Risulta evidente fin dall'esordio la struttura tipica ad epilogo -come é stata definita- della novella Pirandelliana (tale e quale la ritroveremo anche nelle opere teatrali), che muove da un fatto già accaduto, di cui il racconto successivo svilupperà l'antefatto e le conseguenze. Dal punto di vista dell'intreccio quindi la coda dei "fatti" (o la «coda del mostro», ma staccata dal mostro a cui appartiene, per usare la metafora pirandelliana), cioè l'esplosione di pazzia presunta, viene presentata da sola, staccata dal contesto di vita «impossibile» di Belluca, ignorato dai colleghi. Nelle sequenze successive il narratore si affretterà a riportarla nel suo sito naturale, anzi «naturalissimo» come è ribadito dalla ripetizione del termine, rimarcato dal corsivo. Ma questa introduzione ex abrupto, con l'apertura sul personaggio balzato all'azione come fantasma di un altro mondo senza storia, crea, per quel che riguarda lo sviluppo narrativo, un effetto di suspence che conferisce tensione drammatica al racconto: che Belluca non sia un pazzo risulterà chiaro infatti per il lettore solo alla fine.
3g Interpretazione: Il relativismo pirandelliano e la pseudooggettività del "fatto"
Dal punto di vista interpretativo, oltre ai motivi già richiamati nel corso dell'esposizione, l'ipotesi alternativa del «naturalissimo caso» (si noti la posizione attributiva dell'aggettivo anteposto al nome, che sottolinea la prevalenza semantica del «naturalissimo») ci conduce al tema centrale nella novella: il relativismo di tutti i punti di vista, qui contrapposto alla verità assoluta dei fatti, non scalfiti da minima ombra di dubbio di cui paiono depositari i colleghi; e quello del mondo del «così è». Ma in questa novella Pirandello contravviene a un criterio per lui più usuale e indubbiamente più efficace ai fini dell'espressione del concetto suddetto, di lasciare la vicenda aperta ai lettori nel mondo del «se vi pare», come avviene per un analogo caso di presunta pazzia in La Signora Frola e il signor Ponza suo genero, in cui la problematicità della vicenda, aperta, e affidata all'empiria del lettore perché la reinterpreti, meglio coinvolge nel dibattito sull'inconsistenza del reale che sta dietro il relativismo dei punti di vista.
Il nostro racconto comunque ben focalizza la pseudooggettività del
"fatto" o dei fatti «sacchi vuoti" destituiti di ogni
apparenza «se privi degli affetti dei sentimenti, di tante cose che li
riempiono», leit motiv costante dell'opera piradelliana, fin dall'esordio narrativo (vedi anche la novella del '97 Vexilla regis da
cui è tratta la citazione precedente o il suo primo romanzo L'esclusa del
'93.
Come ben si vede l'antipositivista Pirandello appare ben lontano
dall'oggettività del racconto naturalista, che partiva appunto dal
presupposto dell'univocità del reale, del «fatto nudo
e crudo» affidato alla tecnica dell'impersonalità. Pirandello invece,
nel suo totale nihilismo, addirittura arriverà ad affermare che la vita stessa
è un "fatto" cioè una forma, una prigione o una "trappola"
-in parte lo abbiamo già anticipato- la cui fine verrà solo con la morte,
quando l'io potrà ricongiungersi col fluire dell'essere («Quando tuo padre
t'ha messo al mondo, caro, il fatto è fatto. Non te ne liberi finché non
finisci di morire» [«Quaderni
si Serafino Gubbio operatore», in Tutti i romanzi (ed. Mondadori)
p. 611.
4. La caratterizzazione dei personaggi
I
personaggi, principali e secondari, risultano caratterizzati indirettamente.
Cominciamo
dal protagonista; di Belluca abbiamo un ritratto in controluce dell'uomo che
sembrava (e in una certa misura era) e di quello che è diventato. Pirandello non
ci dà un ritratto fisico vero e proprio: l'unico riferimento è agli
occhi «di solito cupi, senza lustro, aggrottati », con
funzione di notazione psicologica in quanto sottolineano l'assenza di
vita, subito dopo, contrapposti alle caratteristiche assunte dopo
l'illuminazione: «ora ridevano lucidissimi come
quelli di un bambino»; la similitudine (ricorrente in Pirandello es. Il
viaggio) suggerisce che il ritrovarsi del personaggio è ritorno in una
forma di innocenza edenica.
Più
ampiamente il ritratto psicologico è tracciato attraverso due ordini
di metafore: dal punto di vista dei colleghi con una
prima metafora derivata dalle mansioni di computista («circoscritto, «macchinetta
contabile…») e una seconda animalesca («asino con tanto di
paraocchi», «vecchio somaro frustato, fustigato »)
ripresa anche nelle espressioni successive per indicare le protratte angherie
dei colleghi e della sorte, e le reazioni di Belluca («imbizzire», «fargli
drizzare un po' le orecchie abbattute», «levare un
piede per sparare qualche calcio», «frustate», «crudeli
punture», bastonature); la metafora dell'asino ritorna nella
parte finale dal punto di vista del protagonista come presa di consapevolezza della sua condizione subumana («bestia bendata aggiogata alla stanga
di una noria d'un molino»); la consapevolezza del personaggio consiste
proprio nella scomparsa del «paraocchi» o «benda» che dir si voglia. Sia il
ritratto fisico che la caratterizzazione psicologica sottendono il filo
conduttore dell'intero racconto: buio vs luce,
chiusura vs apertura, angustia o cecità (a
seconda dei punti di vista) vs apertura e fuga.
Degli
altri personaggi il ritratto è solo negativo ed emerge attraverso lo sguardo
impietoso dell'autore-narratore che fa di essi il perfetto prototipo
dell'angustia, conformismo, formalismo piccolo borghese, quella forma che
inconsapevolmente preclude la possibilità di vedersi prigionieri in essa : «volevan
sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel
dovere compiuto»; significativo l'«anche» che
sottolinea la volontà di costruirsi, di dare a sé stessi una motivazione nobile
e disinteressata della visita che è solo un assolvimento rituale recepito come
dovere ed esauritosi lì, come è sottolineato dalla chiusura
egoistica del sentirsi «nella pienezza della salute, usciti da quel triste
ospizio al gaio azzurro della mattinata invernale» o dall'assoluta
incapacità a comprendere minimamente l'altra faccia di Belluca: «Inconcepibile,
dunque, veramente, quella ribellione in lui,. …Tanto più che, la sera avanti,
proprio gli toccava la riprensione…» oppure «sempre con quel
sorriso d'impudenza e d'imbecillità su le labbra». Il lettore ne ricava la
conclusione che i veri "circoscritti", i veri prigionieri, i veri
sommersi nel limbo di una pseudo coscienza o vitalità siano proprio
loro.
5. Analisi linguistica e stilistica
Dal punto di vista linguistico la novella
rispecchia le caratteristiche costanti della narrativa pirandelliana per la
scelta di una lingua media, non letteraria ed aulica né bassa o parlata. Tale
linguaggio è, in primo luogo, come osserva M. Luisa Altieri Biagi, il risultato
di una scelta epistemologica dello scrittore filosofo, suggerita dalla volontà
di rendere trasparente e non equivoca a un pubblico di lettori medi la
trasmissione del suo messaggio. Abbiamo rilevato già l'uso di figure retoriche
quali la metafora, (veramente geniale e tipicamente pirandelliana quella della
coda del mostro) e abbiamo evidenziato come siano funzionali al
significato della novella, non rimangono quindi meri artifici retorici. Dal
punto di vista sintattico va rilevato come l'autore alterni "racconto
trasposto", "monologo interiore", "indiretto libero" e "dialogo drammatico"; ciò
conferisce al discorso una continua variazione di tensione
espressiva: in "indiretto libero" è condotta gran parte della ricostruzione della
vicenda di Belluca dal punto di vista dei colleghi e del personaggio. Mentre il
racconto del narratore delle condizioni di vita del protagonista è affidata a
un lungo "monologo interiore". Appare evidente come l' "indiretto libero" sia
congeniale all'espressione del sentimento del contrario su cui si fonda la
poetica di Pirandello perché gli consente di addentrarsi nella profondità dei
personaggi e di esprimere, all'interno di una stessa
struttura di discorso, narrazione, introspezione e senso critico.
Valga un esempio per tutti:
«Circoscritto... sì, chi l'aveva definito cosi? Uno dei suoi
compagni d'ufficio. Circoscritto,
povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida
mansione di computista…»
Qui
«circoscritto» e «povero» posti
l'uno accanto all'altro appartengono ai punti di vista del collega d'ufficio e
del narratore in quanto espressione rispettivamente del comico e dell'umoristico:
il primo in grado di cogliere solo l'angustia del vivere di Belluca nella sua "arida
mansione" da computista e di offrircene una deformazione comico grottesca:
«casellario ambulante o piuttosto vecchio somaro… con tanto di paraocchi»,
l'altro nel tradurre in sentimento di pietà e partecipazione la comprensione
per l'uomo che si cela dietro la maschera.
Un ultimo
riferimento va allo spazio dedicato alle scene dialogate, attraverso le quali
emerge l'autentica vocazione dello scrittore per il teatro. Quasi tutta la
prima sequenza e alcune parti della
seconda e della terza (i punti chiave della pazzia e della ribellione di
Belluca sono affidati al dialogo; attraverso il dialogo il racconto risulta
agito davanti al lettore che diviene una sorta di spettatore teatrale; un
vero abbattimento della simbolica quarta parete teatrale compare al rigo 122 in
cui il narratore interloquisce direttamente col lettore, come un personaggio di
un Prologo teatrale col suo pubblico:
«Ebbene signori: a
Belluca in queste condizioni era accaduto un fatto naturalissimo …»
É anche questo un modo originale dello scrittore per
coinvolgere il lettore nel dibattito delle idee.
Testo del 1999 - Rivisto mercoledì, 16
luglio 2014
Prof. Maria Mignosa