domenica 15 giugno 2014

L'Educazione Linguistica nella Scuola Secondaria di Primo grado. Lingua e diacronia: riflessione sulla dimensione storica dei fatti linguistici.

Testo della Prof. Maria Mignosa 






I Programmi della Scuola Media del 1979 sottolineano che la riflessione sull’uso vivo e attuale della lingua va congiunta alla « riflessione sulla dimensione storica dei fatti linguistici » in modo da sviluppare una «  coscienza storica » che porti a cogliere nella evoluzione della lingua le connessioni con la storia sociale, politica, culturale, letteraria, scientifica, tecnologica »(testo ministeriale pag. 80 20 / B).
La coscienza storica é, insieme al senso storico, un obiettivo trasversale specifico della Storia. (M. Corda Costa ,  « Finalità e Obiettivi dell’insegnamento della Storia » in  AA.VV. Scuola Media e nuovi programmi (p. 97) ; « Testo programmatico»,  p.111).
Sviluppare il senso storico é un obiettivo di per sé molto importante, in quanto consente agli allievi di acquisire lo spessore temporale dei fatti linguistici. Il concetto di «  senso», (alla lettera « significato in contesto »), applicato alla storia, implica l’idea che ogni evento o fatto storico va visto in relazione ad altri fatti storici, con i quali si pone in rapporto di causa ed effetto. Implica inoltre l’acquisizione del concetto di tempo storico,  una dimensione adulta del pensiero che contrasta con la percezione del tempo di un adolescente. (M. L. Biagi, Didattica dell’Italiano (1978), Milano, Bruno Mondadori).

Sviluppare la coscienza storica va oltre l’obiettivo del senso storico: coscienza storica è  consapevolezza della storia come costruzione umana, e quindi relativismo nella valutazione a posteriori di qualsiasi fatto storico, e acquisizione di un atteggiamento antidogmatico. Anche la lingua come prodotto storico é costruzione umana che si struttura nel tempo; non esistono quindi un uso o una norma codificati una volta per tutte, ma usi stabilizzatisi in un determinato momento storico, per rispondere all’esigenza primaria di ogni lingua che é di tipo comunicativo (usi quotidiani, ufficiali, colti etc.). Le lingue quindi, come tutte le acquisizioni dell’uomo, sono soggette al divenire, nascono, si sviluppano e muoiono, o meglio impercettibilmente, ma costantemente si trasformano.
I due obiettivi considerati hanno poco a che vedere con la competenza linguistica quale dovrebbe svilupparsi nella Scuola Media (Biagi, Didattica). La riflessione storica può però stimolare la curiosità per i fatti linguistici, obiettivo educativo assai importante, propedeutico e complementare all’acquisizione linguistica stessa e a qualsiasi forma di conoscenza.



Analisi delle cause e dei modi in cui si verifica il mutamento linguistico.  

Le cause della diffusione di una lingua nazionale sono di ordine politico, economico, culturale, con una incidenza più o meno maggiore dell’uno o dell’altro fattore, in relazione alle diverse aree geografiche. Si può esemplificare a questo proposito la diversità dello sviluppo linguistico italiano, rispetto a quello francese o spagnolo. I riferimenti sono in Migliorini (Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, (1° ed.1960; ultima ed. 1913)) Firenze, Sansoni, ; ma anche in Durante (M. Durante, Dal Latino all’italiano moderno, (1981), Bologna, Zanichelli).

Il processo continuo e inarrestabile di ogni lingua, è dovuto a  fattori diversi:
      =   contatti e scambi culturali tra popoli;
      =    esigenze di significare in relazione all’acquisizione di nuovi concetti, conoscenze, abitudini;
      =    fusione tra popoli nel caso di guerre e di conquiste (M. L. Biagi, cit.).


I modi del mutamento consistono:

      =    nella perdita di segni;
      =    nell’acquisizione di segni nuovi;
      =     nello slittamento o ampliamento di significato di termini già esistenti.
Occorre quindi sfatare il luogo comune della stabilità della lingua italiana; i riferimenti possono essere dedotti sia da Berruto [Gaetano Berruto, (1980), Sociolinguistica dell’Italiano contemporaneo, (Roma), Carocci editore], sia dal Durante (Marcello Durante, Dal latino all’Italiano moderno, Bologna, 1981 “La presunta immobilità dell’italiano, p. 171]. Lo studio del Durante é particolarmente significativo perché analizza gli elementi di cambiamento relativi alla sintassi,  che sono i più lenti e i più stabili.

Il suo percorso passa attraverso i seguenti momenti successivi:

      =     il latino come momento genetico della lingua italiana: passaggio dal latino al volgare; mutamenti fonologici, morfologici, sintattici. (Vedi  qualsiasi buon testo scolastico).

     =    il latino come elemento costitutivo nella formazione di nuove parole e nella realtà della cultura europea. (testo dei programmi  del 79,  p.81)

       =      il mutamento sintattico nel tempo  (Durante lo tratta ampiamente)

       =      il mutamento lessicale: correnti dotte e correnti popolari nella lingua italiana     
             (Migliorini, cit. « I latinismi nel lessico italiano », p. 215).      
             Come  esempio di mutamento lessicale di un termine comune mutuato dal greco è 
             « Spinterogeno  (voce dotta composta dal greco σπινθήρ - ῆρος « favilla, scintilla » e dal tema
             del  verbo γεννάω (genero),  (letteralmente « che genera la scintilla » [Gian Luigi Beccaria,
             Italiano, Le Monnier scuola]

         Sul mutamento lessicale in termini più generali c’è da osservare che molti dei latinismi del lessico
         italiano sono il frutto di naturale evoluzione della lingua; altri sono acquisizioni più recenti
         reintrodotte per via cultural dai dotti; molti latinismi sono termini del linguaggio internaziona-
         le della scienza che vengono facilmente assimilati nella lingua italiana per le sue caratteristiche di
         lingua colta; dai dotti; molti latinismi sono termini del linguaggio internazionale della scienza che
         vengono  facilmente assimilati nella lingua italiana per le sue caratteristiche di lingua colta
         (Migliorini).


       = il mutamento lessicale in relazione al contatto con gli altri popoli: calchi e prestiti.
             [ Il Durante dedica molto spazio all’apporto lessicale francese nel Settecento,  precisando come  
             l’apporto lessicale da altre lingue é un elemento di arricchimento della possibilità di si-
             gnificazione della lingua italiana.

A    Alcune considerazioni sullo studio di calchi e prestiti nell’attività didattica
    
1.   Gli apporti lessicali delle altre lingue possono essere classificati in relazione a precisi settori di attività introdotte dai popoli con cui la civiltà italiana si é venuta a trovare a contatto.

2.  Anche nei dialetti sono presenti apporti linguistici delle diverse epoche storiche.

3.  Va osservato che nell’attività didattica il riferimento alla dimensione diacronica non può essere sistematico, ma episodico e soprattutto tale da non compromettere la competenza linguistica del discente, non ancora completamente stabilizzata; mentre il riferimento all’origine storica latina può essere condotto con un confronto delle rispettive strutture, in termini comunque molto generali.

4.  L’attenzione al mutamento lessicale può essere attivata nel discente interdisciplinariamente con lo studio della storia; perché però non si traduca in un lavoro demotivante (elenchi di nomi ad es.) é necessario coinvolgere l’allievo in modo da renderlo partecipe delle acquisizioni linguistiche; per questo le esercitazioni devono essere tali da stimolarne lo spirito di osservazione e da indurlo a formulare ipotesi sui fenomeni osservati.


Dal latino al volgare

Il volgare italiano é il punto di arrivo di una costante evoluzione linguistica protrattasi per secoli. Una lingua infatti non é qualcosa di statico, ma é continuamente sottoposta a sollecitazioni per il solo fatto di essere usata.

La lingua latina, a sua volta, non era un blocco monolitico; all’interno di essa esistevano varietà sociali geografiche e culturali diverse in relazione alle esigenze dei parlanti. Il latino classico studiato nelle scuole e modellato secondo le norme di un rigoroso classicismo, sulla lingua di Virgilio e di Cicerone, era diverso dal latino parlato: quest’ultimo si chiamava volgare perché era parlato dal volgo, ma anche dalle persone colte per gli usi più informali.

Già a partire dal terzo secolo, con la crisi dell’impero di Roma, anche la situazione linguistica tende a precipitare. La divergenza fra i due livelli linguistici, il latino classico e il latino volgare, assume un carattere sociale: la classe romanizzata si mantiene attaccata al latino classico (e a quei valori che esso ingloba) mentre le masse contadine sono del tutto sganciate da modelli normativi.
Più tardi, venuta meno l’unità politica, culturale e amministrativa, con la fine dell’impero romano d’Occidente (476 a. Ch.), in seguito alle invasioni barbariche, il latino classico avrebbe subito un ulteriore e progressivo regresso per l’assenza di una struttura politica centrale che ne sollecitasse la spinta unitaria.

La crisi non riguardò solo il sistema politico, ma anche le istituzioni: la scuola, ad es., che era stata lo strumento di diffusione di una lingua tendenzialmente unitaria. Fondamentale risulta anche, a questo proposito, l’azione della chiesa. Il cristianesimo, infatti, determina una radicale inversione di prestigio tra il polo classico e quello volgare del latino, privilegiando il secondo per ragioni ideologiche e per la necessità di rivolgersi a un pubblico popolare.

In questa nuova situazione le interferenze dei sostrati linguistici delle parlate preesistenti non riuscirono più a essere tenute a freno dal riferimento a una lingua ufficiale.
Precisato quindi che il volgare non sorge all’improvviso, ma che é il frutto di una costante evoluzione, resta da evidenziare che per lungo tempo, probabilmente, i parlanti non ebbero coscienza di usare una lingua diversa dal latino. Questa coscienza nasce, come osserva il Migliorini, quando si passerà da un bilinguismo di fatto a un bilinguismo consapevole, quando cioè i parlanti avranno chiaro lo scarto esistente tra latino e volgare.

E difficile documentare quando questo passaggio sia avvenuto per la frammentarietà e pressocché totale assenza di testimonianze. Il latino volgare infatti era solo una lingua parlata e ci ha lasciato testimonianze indirette. I linguisti citano come primo documento volgare i « Placiti cassinesi » (non l’indovinello veronese, come si é spesso detto). Il notaio infatti che redige il documento riporta la formula del giuramento prestato davanti a lui dai testimoni nella loro lingua originale, probabilmente perché essi non capivano più il latino:

Sao ke kelle terre, per kelle fini che ki contene, per trent’anni le possette parte sancti Benedicti.

Nel Medioevo, mentre il volgare si afferma sempre più anche per gli usi ufficiali  –dapprima per esigenze pratiche, come lingua usata dai mercanti e dai notai, poi nell’ambito di esperienza degli intellettuali– Paradossalmente il latino viene conservato –e lo sarà ancora per secoli – come lingua ufficiale della liturgia.

Le spinte al cambiamento: l’influsso del Cristianesimo

Le lingue sono sempre funzioni delle società umane, quindi tutti gli eventi che si verificano hanno ripercussioni più o meno profonde in esse.
La norma linguistica imposta da tale modello di lingua si incrina definitivamente a partire dal V° secolo. Da questo momento la chiesa adotta un latino estremamente volgarizzato, fitto di modi e di costrutti popolari. Gli stessi predicatori si propongono l’obiettivo di farsi capire dai semplici. Per questo comprendiamo la violazione della grammatica e della retorica: « Melius est reprehendant nos gramatici, quam non intellegant populi » afferma Agostino.
Ci troviamo in presenza non solo di innovazioni, ma anche di introduzione di nuovi vocaboli. Le principali riguardano l’aspetto semantico e in particolare il lessico.

Il campo dei significati:
 Es.:
1.  « paganus », in precedenza parola del linguaggio militare che indicava il civile, il borghese, in  opposizione a militare (paganus da « pagus » » « castrensis » da «castra» ) significa non cristiano: I cristiani infatti che si sentivano milites Christi usano il termine militaresco «paganus» per indicare chi non é soldato di Cristo.
2.  « pius » dal significato di « onesto » » « giusto » , diviene « religioso » » « riverente a Dio » :
3.  « peccare » nel senso di « commettere uno sbaglio »  si specializza nel senso di « sbagliare verso Dio » .
4.  « fides » si dilata dal valore terreno di « parola data » » « impegno » in « fede per un principio superiore »

Talvolta é un episodio biblico a determinare il cambio semantico.

Così:
5.   « tradere » (consegnare) diventa « tradire » dal tradimento di Giuda che consegnò Cristo per trenta denari o dal riferimento a quei vescovi traditori che durante le persecuzioni di Diocleziano consegnarono alle autorità i testi sacri.

6. « captivus » (prigioniero) assume un valore negativo in locuzioni come « captivus diaboli »  (prigioniero del demonio).

7.   « massa » (pasta fermentata per fare il pane) diviene grosso gruppo di persone; ciò attraverso la mediazione di S. Agostino che considera l’umanità peccatrice come « massa peccati », cioé
“ corrotta dal peccato di Adamo”.

       Introduzione di vocaboli nuovi:

      8.     Si tratta soprattutto di grecismi che rientrano nel lessico tecnico:
« clericus » , « episcopus » , « presbite » , « ecclesia » , « baptismus » , « baptizare » , « chrisma » , « basilica » , « monachus ».

9.     A loro volta le parole greche potevano essere calchi dall’ebraico: Così  « angelo » traduce il greco « ἂνγελος »  termine di derivazione ebraica che significa « messaggero divino ».


  Mutamenti semantici latini sul calco greco:

      10.  « passio » dal greco « πάθος » « salvare » e « salvator » da « σώζω e « σωτήρ ».


        Vocaboli spogliati di ogni senso religioso:

     11.  «parola» dal greco « παραβολή »   attraverso il latino « parabola » : le parabole di Gesù furono viste come la parola divina tout court e quindi assunsero il valore generico di « vocabolo » .

La rivoluzione operata dalla chiesa non riguarda solo gli usi orali, ma anche quelli scritti: Si pensi alla traduzione della Bibbia. La chiesa, inoltre, col compito che si assunse di conservare l’istruzione, fu elemento di diffusione della capacità di leggere e scrivere in uno strato medio di intellettuali (preti, parroci) che ebbero la funzione di evangelizzare le genti.

 La lingua dei cristiani, in realtà non fu unica

bisogna distinguere fra:

     il linguaggio della predicazione, che abbonda di volgarismi e di espressioni elementari e sgrammaticate.

    il linguaggio ufficiale della chiesa, che assume il suo carattere di fissità e di immobilità in quanto deve sancire il principio universale della Bibbia intesa come il libro per eccellenza, linguaggio che é caratterizzato da una sintassi lineare, uno stile piano, vocaboli di larga circolazione, ma senza offendere le strutture fondamentali della grammatica latina.

     Il linguaggio della preghiera, che non si confonde con l’approssimazione del parlar quotidiano: tende piuttosto a un’espressione oggettiva alta, che riprende le cadenze della Bibbia e che vuole testimoniare un’elevazione del le anime al Signore.

    Il linguaggio della cultura cristiana:

Insomma la lingua dei cristiani presenta una distinzione di registri fra mobilità e informatività dell’uso pastorale e fissità formalizzata dell’uso liturgico, trattatistico, apologetico. In questo modo essa non é un abbassamento del livello del latino classico, ma una realtà autonoma dotata di potente forza espressiva. 
Questa lingua, rispetto al latino di Roma, esercita una duplice forza:

           innovativa (perché getta le basi delle lingue romanze):

          conservativa (perché diffonde il latino in luoghi non toccati dalla cultura latina (Irlanda, Germania, Finlandia).


I principali cambiamenti avvenuti nel passaggio dal latino al volgare


Il passaggio dal latino al volgare non fu certamente rapido, ma si protrasse nel tempo. Probabilmente dovette essere la lingua parlata che, interferendo con quella scritta, introdusse elementi di corruzione rispetto alla norma.

Un documento interessante da questo punto di vista é l’Appendix Probi.

Si tratta di un elenco compilato da Probo, un grammatico, (forse del III° secolo d. Ch.) che registra 227 volgarismi, contrapponendo ad essi la parola nella forma classica. Così Probo lottava, coi suoi mezzi di intellettuale, per fare argine ai cambiamenti nei modi di parlare (e forse di scrivere) che sentiva intorno a sé. Il suo stile é, un po’ autoritariamente questo:

viridis                        non             virdis
rivus                          non             rius
calida                        non             calda
speculum                    non             speclum
oculus                        non             oclus
columna                     non             colomna
turma                         non             torma
auris                          non             oricla

Il documento ha costituito per gli studiosi una fonte molto importante per analizzare i principali fenomeni verificatisi nella evoluzione del latino: La prima innovazione importante é la perdita della quantità vocalica. Sappiamo che gli abitanti delle province non italiane ignoravano tali quantità che consentivano di distinguere legit (egli lesse) da legit (egli legge). P
Proprio in conseguenza dell’immigrazione di folti gruppi di provinciali la quantità vocalica scomparve. La funzione di essa fu quindi affidata al timbro. Nasce un nuovo sistema vocalico:

lat. class. I       I         E         E         A         A         O         O        U      U
               |         \   /               |              \   /              |              \   /           | 
italiano    I           E               E               A              O              O            U




Vediamo qualche esempio:


PILU(M)  »  pelo; TELA(M)  »  tela; CRUCE(M)  »  croce;  FLORE(M)  »  fiore.
La prima consonante a scomparire é la -m dell’accusativo, che non compariva nella pronuncia,  dalla quale bisogna partire nella prospettiva dell’italiano.
Un altro aspetto del vocalismo é la riduzione dei dittonghi AE ed AU che diventano /e/ ed /o/ (per es. ROSAE » rose;   AURUM  »  oro).
Per quanto riguarda le consonanti uno dei fenomeni di maggior rilievo é la palatalizzazione, la nascita cioè di consonanti palatali che non esistevano nel latino classico (che scriveva  CERAGELU, ma leggeva keraghelu).
Allo stesso modo il nesso -TI- subisce la palatalizzazione e diventerà in italiano l’affricata dentale /ts/: (VITIU(M»  vezzo);  i nessi latini -LI- e -GN- sono all’origine della palatale       « gl » e, rispettivamente, della nasale « gn » dell’italiano (FILIU(M »  figlio;  LIGNU(M)  » legno.
Oltre alla -M finale cadono anche la -S e la -R finali (La -S finale però sopravvive nel francese e nello spagnolo come segno del plurale).

Altri fenomeni importanti che riguardano le consonanti sono:
1.     la -B- intervocalica diventa -v- : (HABERE  »  avere)

2.     il nesso -CT- diventa -tt- : (OCT» otto)

3.     il nesso -PT- diventa -tt- : [SEPTE(M) » sette

4.     i nessi consonante + L mutano sviluppando la semivocale /j/:
      [ FLORE(M)  » fiore,  PLANU(M)  »  piano, CLAVE(M)  »  chiave].


La morfologia diviene più semplice:

·      Scompaiono il genere neutro e le declinazioni

·      scompaiono i verbi irregolari (ad es. FERRE é sostituito da portare, LOQUI da parabolare)

·      Anche il sistema delle declinazioni subisce un collasso:

i nomi della 5^ declinazione, ad es. tendono ad essere assorbiti in quelli della 1^, quelli della    4^in quelli della 2^ (FACIES » FACIA, »faccia; FRUCTUS » FRUCTI » frutti); anche il nominativo della terza declinazione -ES si uniforma a quello della seconda (CANES » cani), etc.

·      Altro vistoso fenomeno é la scomparsa dei casi la cui funzione viene espressa mediante l’uso delle preposizioni e mediante l’ordine fisso delle parole.

·      Alle forme e alle costruzioni sintetiche del latino classico si sostituiscono nel latino volgare forme e costruzioni analitiche.

·      dal dimostrativo ILLE (ILLU) nasce l’articolo determinativo;

·      dal numero UNU(M) nasce l’articolo indeterminativo; (il fenomeno é presente anche nei dialetti:  IPSUM  »  IPSUIPSAM » IPSA  (in sardo diventa su).

·      il comparativo del latino classico é sostituito con una costruzione più analitica: in luogo di ALTIOR -ORIS si afferma PLUS ALTU(M) » più alto

·      il passivo é sostituito con una forma più analitica: AMATUS SUM invece di AMATUR


·      il futuro é sostituito con un futuro perifrastico formato dall’infinito del verbo + Habeo: in luogo di CANTABO si afferma CANTARE + AO (forma popolare da Habeo) > canterò ; 

·      sul modo di questo futuro nasce il condizionale, formato dall’infinito del verbo + il perfetto di Habere, per es. CANTARE HEBUI (forma popolare per habui) » canterei; accanto al perfetto CANTAVI , cantai si afferma un perfetto analitico da cui nascerà il passato prossimo: HABEO CANTATUS   » ho cantato.
Abbiamo quindi: 
latino classico      

latino volgare 
italiano
declinazione   ( sistema dei casi)

ROSA             R OSAE
ROSAE           ROSARUM
ROSAE           ROSIS
ROSAM          ROSAS
ROSA             ROSAE
ROSA             ROSIS             

scomparsa dei casi


ROSA           ROSE


come nel latino volgare


rosa           rose


costruzione sintetica

ROSA MATRIS
costruzione analitica

ILLA ROSA DE ILLA MATRE
 come nel latino volgare
ordine libero delle parole | come nel latino:

PAULUM PETRUS AMAT,

AMAT PAULUM PETRUS,

PETRUS PAULUM AMAT,

ECC.
 ordine fisso delle parole


PETRU AMA PAULU
come nel latino volgare


Pietro ama Paolo

Il lessico nel latino volgare

Il lessico del latino volgare differisce da quello classico per concretezza, specificità, immediatezza espressiva e corposità fonetica. In tale lessico influiscono oltre che fattori sociali anche la stratificazione etnica di una società nella quale gli specialisti e i tecnici (il medico, il veterinario) erano per lo più greci; per questo motivo parole greche entrano nel latino volgare.

I fenomeni che modificano il lessico appartengono a due 1ordini:

                 1) Perdita e acquisto di parole

Di una coppia di sinonimi si conserva il vocabolo più comune e popolare:

latino classico latino volgare italiano
TERRA               »  TELLUS, TERRA      » terra
STELLA             »  SIDUS,  STELLA      » stella
CAMPUS AGER  »    CAMPU                  »  campo

Le parole di significato generico vengono sostituite con altre di significato forte, di alta espressività, di forma più ampia. i sostituti sono spesso vocaboli che esistevano già con un significato particolare accanto al vocabolo generico:
      
      ESSE, EDERE » MANDUCARE MANDUCARE » manicare, poi sostituito con » mangiare.
      [mangiare, rimpinzarsi (mangiare è  forma francesizzante).

      FLERE, PLANGERE               »   PLANGERE            » piangere
      [ Piangere:  (battersi il petto,  piangere)]

      EQUUS, CABALLUS              »   CABALLU               » cavallo  
      [ Cavallo:  (cavallo da tiro,  cavallo) ]

       OS, BUCCA                           »   BUCCA                    » bocca   
       [ Bocca:   (guancia,  bocca) ]

      LOQUI, PARABOLARE          »   PARABOLARE        » parlare 
      [ Parlare: (dir parole,  parlare) ]

      DOMUS, CASA                       » CASA                      » casa
      [ Casa: (capanna, casa)].

La ricerca di parole più corpose e dotate di maggiore espressività spinge a preferire in molti casi il diminutivo in luogo del nome semplice:

      AURIS, AURICULA         » AURICLA» ORICLA       »  orecchi
      [Orecchia:  (piccola orecchia, orecchia)]

      FRATER, FRATELLUS     »   FRATELLU                 »  fratello
      [Fratello :  (fratellino, fratello)]
     
      GENU, GENUCULUS        »  GENUCULU                 » ginocchio
     [Ginocchio: (piccolo ginocchio, ginocchio)].

Per motivi analoghi al verbo semplice si preferisce talvolta il verbo iterativo:
   
      SALIRE, SALTARE           »  SALTARE                       » saltare                                       
      [Saltare: (continuare a saltare, saltare)]
      
      PINSERE                           » PISTARE   PESTARE       » pestare
      [Pestare:  (continuare a pestare, pestare)]


Mediante suffissi e prefissi si formano nuovi verbi:

     ALT-US (alto) + -IARE       » ALTIARE       » alzare
     
     CAPT-US (preso) + -IARE   » CAPITARE    » cacciare
    
     MORT(U)US (morto) + EX e -IARE   EXMORTIARE   smorzare

     MORSUS (morso)      + -ICARE     MORSICARE   morsicare

     BEATUS (beato)       + -IFICARE   BEATIFICARE   beatificare


               2)  Mutamenti di significato

Alcuni vocaboli passano da un significato specifico ad un significato generico:

MANDUCARE:  da rimpinzarsi a mangiare
CABALLU:         da bestia da tiro a cavallo

Altri registrano il fenomeno inverso:

COGNATUS;       da parente a fratello della moglie

NECARE:             da uccidere a uccidere nell’acqua (AD-NECARE    » annegare.)

     Vi sono poi mutamenti di significato che dipendono da un uso metaforico del vocabolo: ad es.:
     
     TESTA                  da   vaso di coccio  a     (TESTA  » CAPUT»  capo)

    PAPILIO (PAPILIONEM)    da farfalla a tenda di accampamento padiglione.


Correnti dotte e correnti popolari nella lingua italiana (Migliorini)

Uno degli aspetti dell’italiano (che del resto compare per tutte le lingue colte d’Europa) é il confluire nella lingua di correnti popolari e di correnti dotte. Si considerano popolari quelle parole per le quali la fonetica storica ha evidenziato come si siano modificate per un’evoluzione spontanea, trasmettendosi di generazione in generazione dall’età romana fino ai nostri giorni. Altre invece sono state conservate o reinstallate nella lingua dagli uomini di cultura.
Nella lingua termine dotto e termine popolare convivono insieme spesso per esprimere differenti sfumature di significato; (in italiano ad esempio si usa gatto in accezione più obiettiva, micio con una più affettiva, felino in accezione scientifica); talora entrambi i termini si usano come equivalenti senza che il parlante noti l’origine colta o popolare (es. il colto lauro accanto al popolare alloro in quanto la lingua poetica li ha usati entrambi). Ciò é da mettere in relazione oltre che con le più ampie possibilità di significazione di una lingua rispetto a un dialetto anche con la maggiore segmentazione sociale degli utenti di una lingua e dal fatto che molte forme vengono conservate mediante la scrittura.
Il latino oltre ad essere la lingua madre dell’italiano, da cui numerosi termini sono derivati per evoluzione spontanea ha costituito, insieme col greco, un serbatoio a cui i dotti hanno attinto ininterrottamente trasferendo continuamente nell’uso volgare grafie, voci, costrutti latini.
Senza tener conto dei numerosi modi di dire ed espressioni latine conservate nella lingua italiana (in medio stat virtusest modus in rebusipso factofiat ecc.), non esiste una regola costante nel prevalere dell’uso popolare e dell’uso dotto; si registrano così forme di uso popolare prevalse su quelle di uso colto (ad es. « femmina », « comune » / « femina » « commune »), e viceversa (ad es. « retorica », « eterno » / « rettorica », « etterno »).
Il Migliorini ipotizza che il prevalere delle forme colte più vicine al modello latino, su quelle popolari usate nel toscano per evoluzione spontanea della lingua, si sia imposto più facilmente fuori di Toscana dove i dialetti erano stati già dirozzati alla scuola del latino. E quindi ovvio che fuori di Toscana, per quanto si aspirasse a scrivere fiorentino o toscano, si preferisse la forma latineggiante specialmente in quei casi in cui non c’era possibilità di scelta. Così la voce poetica toscana              « cigno », più vicina al latino « cycnus » é preferito dal Sannazzaro e dal Bembo alla forma della prosa  « cycero » o « cycino».
Talora acconto a un termine d’uso popolare convive un corrispondente sinonimo d’uso solenne, togato, poetico (es. « ausilio » / « aiuto»). Questo fenomeno presente in tutte le lingue europee di formazione classicista non si presenta con la stessa ampiezza che in italiano. Ciò si é registrato per secoli per numerosi termini salvo il caso in cui il termine colto é stato abbandonato, perché riconosciuto pedantesco.
Così Manzoni corregge « animmavversione » » in « biasimo »; « cattività » in « prigionia, « manti-le » in « tovagliolo », « insania » in « pazzia », « festuca » in « fuscello » etc.

Talora la sostituzione di un termine con un’altro é dipesa dall’acquisizione di nuove conoscenze: così branchie sostituisce il termine popolare orecchie in quanto quest’ultimo era un errore anatomico; non é infrequente infine una sostituzione di un termine troppo connotato semanticamente con un eufemismo come nel caso di « brefotrofio » (ricalcato da « brephotrophium» del codice giustinianeo) che sostituisce « Spedale » dei trovatelli o degli Innocenti non per la preferenza accordata dal lessico burocratico alle parole difficili, ma perché preferisce stendere un velo sulle miserie sociali.
Il fenomeno che contraddistingue la lingua italiana rispetto alle altre lingue neolatine é la presenza di un numero maggiore di parole dalla etimologia colta per indicare concetti comuni (così « spezie da « species » (tutto ciò che ha subito un’elaborazione), « metro dal greco » (per indicare l’unità di misura adottata nel 1791 dalla Convenzione francese) « telescopio », « piroscafo », « fiammifero », « bicicletta » (ibrido greco-latino) al pari dell’arcaico « velocipede ».
Nell’Ottocento il suffisso -ista entrato nella lingua attraverso voci greche o in genere dotte é prevalso su quello popolare –aiolo, per indicare i mestieri, perché sembra portare con sé una maggiore aura di distinzione.
L’impronta popolare é presente anche nella collocazione dell’aggettivo etnico d’obbligo posposto rispetto al nome (« popolo romano, « lingua latina, « civiltà greca), mentre in latino la collocazione é indifferente: la collocazione opposta é solo d’uso poetico: « tedesca rabbia, « britanne vergini »,                         « franco lido », « latin sangue gentile ».
L’uso prevalentemente scritto della lingua italiana e la relativa stabilità di essa, il suo carattere colto che l’ha resa per lunghi anni impenetrabile a larghi strati della popolazione ha avuto alcune importanti conseguenze:
1.     L’Italiano di oggi é certamente più vicino all’Italiano di Dante di quanto, ad esempio, il francese non lo sia rispetto alla lingua d’oil della Chanson de Roland.

2.     Non presenta scarti sensibili tra grafia e pronunzia come é invece in francese e in inglese.
3.     Consente una più rapida assimilazione di termini di origine colta che sono più vicini ai suoi usi più abituali senza per questo eccedere in cultismi, laddove questi non appaiono necessari, ma contemperando, con un giusto equilibrio, voci dotte e voci popolari.



Calchi e prestiti

Un fenomeno usuale del mutamento linguistico é dato da calchi e prestiti da altre lingue che sono forme particolari di interferenza.
Es. retroterra é calco da « hinterland » [« hinter = dietro; « land » = « terra) « hinterland é prestito più recente].
Il prestito é dunque il prodotto di un’imitazione più pedissequa perché riproduce oltre al significato anche il significante, sebbene non di rado con adattamenti alle strutture della lingua r: « sciuscià » dall’ingl. « shoeshine»: « lanzichenecco »  da « landsknecht »). Nel calco invece il significante é dato da parole della lingua.

Perché si compia un prestito é sufficiente un grado molto modesto di bilinguismo. Al limite può bastare una conoscenza anche approssimativa di una sola parola straniera; ad es. « patata » arrivato dall’America centrale. Invece il calco richiede buona conoscenza della lingua modello per coglierne l’articolazione semantica. Un peso determinante spetta peraltro anche all’atteggiamento del parlante nei confronti dell’ambiente straniero che offre il modello; se questo ambiente gode di particolare prestigio e simpatia possono essere numerosi i prestiti; mentre se la comunità che subisce l’influsso si sente minacciata nella sua autonomia etnico- culturale, preferisce il calco (ad es. in epoca fascista, –in cui il nazionalismo si esprime anche a livello di scelte lessicali–  si propone « con-sociazione turistica » a  « touring club »).

A differenza del prestito il calco può essere ambiguo, per cui é possibile che col tempo venga preferito il prestito il cui significato é univoco (ad es. il prestito « mitteleuropa » é preferibile al prestito « medieuropea », più ambiguo nella referenza). Talora il prestito é preferito perché il termine esotico ha maggiore forza di suggestione (se al posto del prestito francese « lapin », [nome di una pelliccia] si usasse il corrispondente calco semantico « coniglio », il termine perderebbe il richiamo alla prestigiosa moda francese.

  I prestiti possono essere diretti quando avvengono per contatto in aree multilingue; a distanza quando vengono mediati attraverso la lingua scritta o altre fonti di comunicazione (ad es. il russo « sputnik » pervenuto attraverso i dispacci di agenzia che annunciavano la messa in orbita dei satelliti o il più recente « perestroika »; ci sono anche prestiti di ritorno che, passati da una lingua all’altra, ritornano in un’accezione nuova (ad es. « casinò » dall’italiano « casino ”  con significato molto circoscritto; o il francese test « prova» dall’inglese che lo aveva preso in epoca medievale dal francese antico « test » (recipiente di terracotta per provare la purezza dei metalli.)


I superstrati

Sono costituiti dai progressivi arricchimenti linguistici dovuti alla presenza delle popolazioni che si sono stanziati nelle varie parti d’Italia. Essi rivelano la loro presenza soprattutto a livello lessicale e si riferiscono a quei settori in cui queste emergevano.


All’ influsso germanico sono da attribuire:
=  termini che riguargano il campo giuridico e del diritto:
     « tregua », « garante », « bandire », « feudo » ecc.

= termini relativi al campo militare: 
    « guerra », « dardo », « usbergo », « elmo », « guardia »,      « agguato », « albergo » (in     origine alloggio militare) etc.

= termini che si riferiscono alla caccia:
    « sparviero », « bracco », « bracconiere»

= termini che riguardano il corpo umano, le relazioni sociali, le attività, l’alimentazione,
    i  colori:
« anca », « milza », « stinco », « russare », « scherzare », « grinta », « spaccare », « strap-       pare »,    « zuffa », « panca », « banco », « staffa », « scaffale », « trappola », « zaino »,
« brodo »,  « zuppa », « bianco », « bruno ».

=Nomi geografici:
« Lombardia » (da « Longobardia »), « Goito » (da « Goti »), « Gualdo » [da « wald  »  (bosco),      « Fara »  (guarnigione militare), « Sala » (residenza del capo)

=Nomi di persona:
« Alberto », « Aldo », « Alfredo », « Bruno », « Carlo », « Corrado », « Enrico »,
« Federico »,   « Franco », « Guido », « Guglielmo », « Luigi », « Roberto », « Ugo », « Umberto», etc.


L’elemento arabo ha avuto il suo maggiore ambito di espansione nella Sicilia (oltre che in Spagna naturalmente) in conseguenza di un insediamento più duraturo. Gli arabi hanno esercitato il loro influsso:
 
       nel settore dell’esercito e dell’amministrazione (si pensi a parole come « almirante »,
       « ammiraglio », « gabella »); 
      
      nel;settore dell’industria e del commercio: « almanacco », « ntarsiare », « canfora », 
     « darsena »,    « taccuino », « tariffa », « arsenale », « dogana », « fondaco », « magazzino », « tariffa », (introdussero anche la carta, importata dalla Cina. Il nome era già greco e latino, ma indicava il papiro e la pergamena);

nel settore della cultura e delle scienze, rispetto al quale essi erano giunti ad un livello di preparazione e di elaborazione maggiore che non i popoli conquistati, sicché le classi dominanti dei popoli conquistati si impadronirono ben presto dei beni culturali prodotti dai conquistatori: termini come zenit », nadir », chimica », alambicco », zero », algebra » e tutte le cifre;

nel settore dell’alimentazione: « zucchero »,   « arance », « limoni », « carciofi », 
« spinaci »,        « cotone ».


Attraverso i traffici coi Greci di Bisanzio giungono in Italia nuove parole greche: La maggior parte si riferiscono:

  = a prodotti d’uso comune: « tegame », « anguria », « basilico », « liquirizia », « indivia »

  = alla navigazione: « fanale », « falò » , « molo », « scalo », « gondola », « galea», « pilota »

  = al mondo degli affari: « rischio », « polizza », « catasto », « anagrafe », etc..



La riflessione sulla lingua nella Scuola Media: lingua e diacronia 

Osserva Maria Luisa Altieri Biagi che la storia linguistica dell’Italia dovrebbe cominciare, a voler essere rigorosi, dalla notte dei tempi: da quando i suoi abitanti hanno raggiunto un minimo di vita organizzata e hanno avuto la necessità di trasmettersi messaggi reciproci.
Ricostruire la storia della lingua significherebbe quindi, se vogliamo risalire al ceppo indoeuropeo da cui discendono la maggior parte di lingue presenti nel Mediterraneo, ripercorrere cinquemila anni di storia,
La storia é una dimensione fondamentale del pensiero e i Programmi della Scuola Media, ben a ragione, sottolineano che non venga trascurata questa prospettiva. E un’esigenza dell’uomo infatti interrogarsi sul passato, conoscere gli eventi che precedono o producono certi effetti, ricostruire fatti e porli in relazione. Ciò vale per tutti i tipi di storia, ma a maggior ragione vale per la storia della lingua, dal momento che questa é un «oggetto trasmesso di generazione in generazione e che accompagna tutte le attività di pensiero e tutte le forme della vita sociale. Fare storia della lingua é quindi, per dirla col Devoto, «un atto di fede nelle possibilità dell’intelligenza umana, nella sua capacità di proiettarsi nel tempo, di colloquiare, di farsi promotore della vita civile» (G: Devoto: Il linguaggio d’Italia, storia e struttura linguistiche italiane dalla preistoria ai nostri giorni», (1974) Milano, Rizzoli).

Lo stesso Devoto indica ben cinque periodi in cui questa può essere articolata:
1.     Dalle origini al 500 a. Ch.

2.     La latinità: dal 500 a. Ch. al 500 d. Ch.

3.     Il Medioevo: dal 500 al 1200

4.     L’età moderna: dal 1200 al 1850

5.     L’Italia unita.

Questa prospettiva storica però, come osserva la Biagi, che sintetizzo  “se é valida per l’insegnante, non lo é per gli alunni. Si tratta infatti di una dimensione adulta che presuppone la capacità dell’individuo di collocare gli eventi su una griglia temporale che non gli faccia perdere di vista i rapporti sincronici e relazionali tra presente e passato.

Occorre tener conto dunque della maturità del concetto di tempo posseduto da un ragazzo fra i 10/11 e i 13/14 anni. Finché questi schiaccia il tempo in una prospettiva mitica e favolosa, ancora fortemente egocentrica, non ha alcuna possibilità di recepire effettivamente il discorso storico linguistico.

La stesso concetto di tempo cronologico inteso come tempo pieno e continuo che la prospettiva storica presuppone, non é inoltre così scontato in un adolescente, dal momento che si tratta di una prospettiva razionale ben diversa dall’idea del tempo percepito che é propria dell’adolescente.

L’insegnante dovrà perciò trovare la misura in cui i riferimenti storici all’origine della lingua italiana possono risultare produttivi senza turbare, nel ragazzo, la competenza di utente attuale della lingua.

La storia della lingua può concorrere per la sua parte a strutturare la dimensione temporale, ma la direzione deve essere sempre quella che parte dal presente per ritrovare il passato.

La prospettiva diacronica può costituire comunque un arricchimento della programmazione linguistica, purché non interferisca, in modo da comprometterla, con la sensibilità sincronica che ha il ragazzo della lingua di oggi, di quella che gli serve per comunicare.

Una conoscenza della storia della lingua serve ben poco a sviluppare la competenza linguistica. Gli studiosi di linguistica concordano nell’affermare che conoscere l’italiano, oggi, significa conoscere l’Italiano di oggi, per poterlo usare nel modo più abile ed efficace possibile. Significa cioè conoscere le parole italiane nel loro significato attuale, e le regole in vigore per costruire un testo.

Addirittura la conoscenza storica, e perfino la riflessione etimologica potrebbe talvolta essere d’impaccio» (Biagi,  Didattica dell’italiano).

Addirittura la conoscenza storica, e perfino la riflessione etimologica potrebbe talvolta essere d’impaccio» (Biagi,  Didattica dell’italiano).

I latinismi nel lessico italiano

I latinismi sono parole che sono state introdotte nel lessico italiano a un certo momento della sua storia attingendo al lessico latino.
Il latinismo si oppone alle parole trasmesse per evoluzione spontanea della lingua:
ad esempio angoscia, pieve, selce sono passate dal latino all’italiano per tradizione ininterrotta: ciò spiega i mutamenti fonetici che hanno subito. Invece angustia, plebe, silice sono state attinte dai libri con alterazioni non molto sensibili.
Nella lingua italiana le parole del primo gruppo sono un’esigua minoranza rispetto alle altre. Infatti parole come causa, esercito, libro, musica, numero, occasione, pagina sono latinismi più o meno antichi. Di esercito il Maggini ha tracciato la storia. Sappiamo che nel Duecento non si diceva esercito, ma oste; che esercito aveva il significato di moltitudine e solo nel Quattrocento la parola si divulga nell’odierno significato.
Grande é l’importanza del latino come principale veicolo della cultura occidentale durante il Medioevo e durante il Rinascimento. Ancora nel Seicento, malgrado l’energica presa di posizione di Galileo, il latino é la principale lingua scientifica europea. E l’insegnamento si fece in latino in gran parte delle università fino alla metà dell’Ottocento.
Nel corso dei secoli é costante l’influsso della latinità.
In epoca medievale vengono introdotti termini come ideale, reale, attuale, potenziale, formale, virtuale, universale, identico, equivoco: sono creazioni di filosofi e grammatici trasmesseci dall’insegnamento scolastico.
« Universitas » passa dall’accezione di “ insieme di cittadini “ come era in Cassiodoro,  o di  «corporazione » (Digesto) a “ corporazione di studenti “  (Universitas scholarium).
« Dottore » passa dal significato generico di insegnante della latinità classica e dell’alto medioevo a quello di titolo universitario.
I giuristi medievali non solo specializzano il significato di termini generici, ma coniano non pochi nuovi vocaboli. Per esempio processo (XIII secolo).
Il fenomeno di tecnicizzazione di termini generici e la coniazione di parole nuove attingendo al vocabolario latino e greco diviene copiosa col sorgere di nuove scienze e rami di scienze dal tardo cinquecento in poi:
« convergere » e « divergere », ad es. sono termini ottici a cui Keplero ha dato un preciso significato tecnico limitando il significato generico che avevano  « vergere » e i suoi composti in latino.
Analoga é l’origine di numerosi termini usati dai naturalisti del Cinquecento e del Settecento:
cactus » e opunzia » ad es. furono presi per designare due generi di piante di origine americana. Il termine kaktos »  per i naturalisti greci era una specie di cardo; opunzia » era una pianta spinosa che cresceva nella città di Opunte.
« Polline », « corolla », « larva » prima di assumere il significato specialistico assegnato dai naturalisti significava rispettivamente “ fior di farina” (pollen), “ coroncina “, “ maschera ”.
Gli Illuministi coniano il termine « progresso ” attingendo al lessico latino.
Grecismi e latinismi non sono però servili imitazioni delle parole antiche, ma mezzi di cui l’italiano si é servito durante i secoli per ampliare il proprio lessico con i vocaboli che man mano gli occorrevano, sia per nozioni antiche che si recuperavano, sia per nozioni nuove che si affacciavano.
La penetrazione dei latinismi ha avuto l’importante funzione di mantenere una certa uniformità lessicale tra le lingue europee, anche dopo l’affermarsi delle lingue nazionali. Possiamo così parlare di franco-latinismi, anglo-latinismi etc. per indicare parole latine rimesse in circolazione con un nuovo significato nell’una o nell’altra lingua europea e accolte poi nelle altre lingue:
Es.: « liquore » col significato di “liquido ad alta concentrazione alcolica” dall’accezione primitiva di « liquido » é franco-latino;
« inoculare », in senso medico, é anglo-latino
« dicastero » é termine burocratico austriaco-latino.
Per questa ragione é parso a molti studiosi che il latino resta la chiave di volta dell’Europa, come affermava il linguista Antoine Meillet.
Nella lingua italiana i latinismi hanno subito adattamenti molto più forti che nelle altre lingue neolatine secondo la struttura fonologica e morfologica toscana; questa é la ragione per cui spesso sono irriconoscibili. In questo adattamento scompaiono /h/, /y/, si sostituiscono i dittonghi.
Penetrati per via dotta con una certa irregolarità nei primi secoli, diventano più regolari dal Rinascimento grazie agli usi colti. Esiste una tendenza generale ad assimilare i gruppi consonantici divergenti: “ditteri“, “elicotteri“,  “coleotteri“  anche se spesso l’assimilazione riguarda solo la pronunzia e non la grafia: es-  “bacteri” / “batteri”; “dactilografia“ / “dattilografia“; gli archeologi preferiscono però “periptero“ a “perittero“.
Talvolta il termine latino é stato adottato nelle lingue europee senza alcun mutamento e da queste introdotto nella lingua italiana: Es. “humus“ é franco-latinismo come é dimostrato dal genere maschile; symposium e anglo latinismo e così pure “curriculum”; (“curricolo“ é l’adattamento italiano); “referendum“ é termine italiano; Migliorini propone a uno dei costituenti di chiamarlo “referendo“ ricevendone in risposta che si correva il rischio di confonderlo con “reverendo“.


Un pregiudizio molto diffuso sostiene che l’Italiano si sia modificato poco dal Trecento in poi. Lo sosteneva l’ Ascoli (glottologo e linguista, (1809 – 1907), il  ( il quale parlava di « persistenza che rasenta l’invariabilità». Secondo il Durante il pregiudizio muove da una concezione angusta della grammatica i cui interessi si polarizzavano sulla fonetica e sulla morfologia che costituiscono i settori più stabili dell’italiano.
Altri studiosi, in periodi diversi, hanno sottolineato il carattere di lingua morta della lingua italiana. Tra questi nel Cinquecento il Davanzati (« L’Italiano é lingua letteraria: fu sempre scritta e non mai parlata» ). Analoga opinione troviamo tra il Sette e l’Ottocento, in Carlo Gozzi, Foscolo, Manzoni i quali denunciavano l’inefficienza della lingua italiana, impopolare, succube della tradizione.
Questo concetto non é vero in assoluto dal momento che nella prima fase dell’unificazione linguistica una lingua comune si diffuse nella pratica della conversazione delle corti. La lingua del Castiglione sarebbe un modello di questa lingua comune.
C’é da osservare tuttavia che il successivo sviluppo storico non favorisce la diffusione di questo modello; infatti con la crisi della corte si determina l’isolamento degli intellettuali, gli interessi culturali dell’aristocrazia vengono meno in seguito al processo di rifeudalizzazione dell’economia italiana, la Controriforma limita la libertà di pensiero e di conseguenza la cultura si chiude nella esaltazione della forma. In conseguenza di tutto questo non si creano quindi le condizioni per l’uso parlato della lingua nel dialogo colto e impegnato.
Se la lingua é destinata alla scrittura e fuori di Toscana si apprende dai libri, dalle grammatiche, dai vocabolari, il suo apparato fonologico e morfologico rimane stabile.

A queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre tre:
a)       l’assenza di una capitale linguistica riconosciuta come tale che fosse in grado di imporre una norma, quale nell’età moderma hanno avuto le grandi nazioni europee.
b)       il ritardo di una crescita economica e culturale della borghesia in grado di creare, come in Francia e in Inghilterra era avvenuto fin dal Cinquecento, quel tessuto connettivo di natura sociale che potesse determinare l’esigenza di una coesione linguistica. La nozione di progresso in Italia sarà riservata solo all’ambito tecnico-scientifico e solo con l’Illuminismo si avvertirà l’esigenza di una relativamente più ampia circolazione di cultura; ma questa stessa circolazione si riferisce a idee nuove che si sviluppano in presenza di una realtà economica statica e per molti aspetti arretrata. In assenza di una norma moderna e di uno stile medio gli intellettuali pertanto sono rimasti per secoli ancorati al modello classicista del bello scrivere suggerito dai modelli illustri del passato.
c)       La funzione della scuola che ha conferito alla letteratura elevata un primato, la noncuranza delle scritture teoriche scientifiche e pratiche (non bisogna dimenticare che la cultura idealistica ha contribuito a rendere luogo comune diffuso il pregiudizio gentiliano nei confronti dell’arida scienza), l’assoluto disinteresse per il registro parlato hanno contribuito a cristallizzare l’immobilismo linguistico proponendo come obiettivo dell’insegnamento l’ideale della forma.

Nonostante le condizioni suddette abbiano svolto un’azione frenante, l’italiano é cambiato in ogni momento della sua storia. Le ragioni del cambiamento vanno ricercate nel semplice fatto che gli uomini e le loro esigenze di espressione cambiano nel corso della vita e nel succedersi delle generazioni. I cambiamenti, muovendo dal campo dei significati, finiscono per coinvolgere i significanti.
Il ritmo del cambiamento in Italia, a differenza che in Francia, non é stato uniforme, ma discontinuo. C’é da osservare tuttavia come in qualsiasi fenomeno storico una legge generale del cambiamento linguistico: questo non é mai repentino, nel senso che strutture in via di eliminazione coesistono accanto ad altre nuove, sia sul piano spaziale (in quanto le innovazioni si affermano a partire da un punto del dominio linguistico) che su quello della coscienza dei parlanti.
Fatta questa premessa c’é da osservare che le prime significative innovazioni linguistiche si realizzano a partire dal Cinquecento. L’immobilismo imposto dalla dottrina scolastica fa sì che le strutture fonologiche e morfologiche rimangono praticamente invariate, cosicché le tendenze innovatrici premono soprattutto sui domini della sintassi e della semantica.
Le prime innovazioni si registrano nell’ambito della semantica lessicale:
Contini ha notato come per intendere il significato del celebre sonetto di Dante: « Tanto gentile e tanto onesta pare» bisogna tener conto del mutamento di significato del lessico.
Cosi « gentile » é passato da “nobile di nascita”  a “capace di sentimenti elevati”;  « onesto » da “decoroso”  a “di animo retto”,

Altri mutamenti:
« cattivo »     »   “infelice”  »  “malvagio”:
« franco »   »  “libero”  »   “che non dissimula i suoi pensieri”;
« ingenuo »   »  “nato libero“  »   “che rivela o ostenta semplicità”, “semplicione”
 « meschino »   »  “povero, “tribolato“  »  “di mentalità ristretta”
 « sincero »   »  “di sostanza pura”  »  “veritiero”
 « vile »    »   “di valore o cond. umile“  »  “codardo”

Se osserviamo attentamente i cambiamenti suddetti notiamo come si sia accentuata l’interiorizzazione dei valori, secondo un processo che era stato già avviato dallo Stilnovismo.
Anche l’ordine delle parole subisce un cambiamento: a differenza del toscano antico in cui l’ordine abituale é Soggetto, Verbo, Oggetto, si registrano delle forme che possono considerarsi una ripresa dell’eredità latina (Oggetto, Verbo, Soggetto) soprattutto quando l’oggetto é marcato:
Es: « Diece bisanti ti voglio rendere »
Questo ordine si registra tuttora in espressioni cristallizzate come poco faun anno fa,  cosa fatta capo ha, etc.

Nel Secento registriamo numerosi cambiamenti sintattici dovuti a fenomeni endogeni, a differenza di quelli del Settecento che invece sono da attribuire a fenomeni esogeni.
Contrariamente all’opinione corrente che ha condannato la produzione del Seicento, il Durante afferma che questa, e sul piano culturale, e sul piano linguistico appare significativa; nonostante infatti il freno esercitato nella libera espressione del pensiero dai limiti imposti dal clima culturale della Controriforma, si registra un’ansia di rottura degli schemi tradizionali che si traduce in un virtuosismo formale. Un secolo che ha dato la nuova scienza, le gazzette a stampa, l’opera in musica, la moda, non può essere considerato come un periodo di decadenza culturale. Un segno di apertura verso la cultura cosmopolita si registra nella scrittura dei nomi stranieri nella forma originale e non in quella latinizzata o italianizzata come nel passato.

Cambiamenti si registrano per quel che riguarda l’uso dei sintagmi verbali:
1)       Il condizionale passato in dipendenza da un tempo storico sostituisce il condizionale semplice ( invece di come nell’uso quattrocentesco
2)       stare + gerundio tipico dei dialetti meridionali con significato momentaneo (.) [sto aspettando] e non durativo ( )[sto andando].
3)       venire + part. pass al posto del passivo essere + participio costrutto affermatosi decisamente con Galileo
4)       andare + infinito al presente e all’imperfetto con significato di necessità; al passato come sostituto del passivo (es.: il manoscritto andò perduto) [in effetti a differenza del passivo questo costrutto marca il compimento del processo].


L’Italia del Settecento non conosce quei fermenti intellettuali della Francia e dell’Inghilterra per le note ragioni del ritardo storico che avevano incoraggiato l’ideale della perfezione formale.
Lo slancio intellettuale della cultura d’oltralpe, fattosi più vivo in età illuministica trova in Italia una società impreparata e in gran parte restia a qualsiasi rinnovamento civile. Esiste quindi, come osserva il Durante, una sfasatura tra le idee che si sono formate in paesi più evoluti e la realtà italiana: gli illuministi italiani dissertano di industria, eppure si é ben lontani da una rivoluzione industriale; parlano di libertà civile, di nazione e di patria in assenza delle benché minime condizioni che possano far sentir prossima l’attuazione di questi concetti.
La stessa cultura illuminista trova non poche opposizioni (Metastasio qualifica l’Illuminismo “l’epidemia universale del nostro secolo”. E anche quando la problematica europea suscita un qualche interesse non si va al di là della disquisizione teorica: le polemiche stizzose del Baretti, la critica iconoclastica del Bettinelli distruggono senza costruire.
In una cultura sostanzialmente conservatrice anche le scelte linguistiche sono una faccia del conservatorismo. I francesismi introdotti per esprimere le nuove idee, trovano ostile la maggioranza dei letterati italiani. L’unica eccezione é costituita dal gruppo intellettuale del Caffè, che rivendica una maggiore libertà linguistica in nome del principio che le idee sono da preferire alle parole, come afferma Alessandro Verri. Un dissidio insanabile divide conservatori e novatori: basti pensare che un Gasparo Gozzi consiglia la lettura del Boccaccio a chi vuole imparare l’italiano, mentre cinque anni dopo il Baretti dichiarava che il Boccaccio é stato la rovina della lingua d’Italia.
Anche nei letterati culturalmente avanzati, tuttavia non esiste un’autentica esigenza di rinnovamento linguistico. L’avversione alla Crusca non nasce infatti dall’esigenza di dare una dimensione sociale e nazionale alla lingua , ma dalla costatazione che il vocabolario non dà spazio alle nuove idee.
Ma la letteratura non riflette fedelmente la società; in quest’ultima infatti si diffondono nuove idee che agiscono in direzione del cambiamento lessicale: parallelo infatti al convincimento che il presente é migliore del passato é l’allargamento semantico di termini come progresso e civiltà; il primo termine passa infatti dall’accezione di avanzamento di conoscenze scientifiche a quello di differenza qualitativa tra passato e presente; il secondo da raffinatezza di gente altolocata a scarto tra paesi moderni e paesi barbarici.
Alla nascita di una figura nuova di intellettuale consapevole di operare in favore della società e del bene pubblico corrisponde il sorgere di una mentalità laica: l’illuminismo si contrappone quindi a oscurantismo.

A proposito della preminenza del toscano si osserva comunque, per inciso, che questa non sarebbe rimasta intatta nel corso del Quattrocento; soprattutto in ambiente ferrarese e in una vasta area padana, gravitante intorno alla corte estense, si sarebbe affermata una koinè ibrida contesta di lingua letteraria toscana, con forti interferenze degli altri volgari settentrionali o con influssi latini.
Inoltre, all’omogeneità orizzontale della classe intellettuale, concorde nell’avviare un processo di unificazione linguistica intorno ad un unico modello, non corrisponde, analoga omogeneità nei vari gradi e generi di scrittura letteraria: dal piano base molto più dialettale dell’uso cancelleresco, al vertice, molto più toscanizzante, della poesia lirica. In questa divaricazione di caratteri gli studiosi avvertono la presenza di forti spinte contrastanti che minano la consistenza della koinè proprio nel momento in cui sembrava più salda. Le spinte contrastanti sarebbero, secondo il Mengaldo una conseguenza, sul piano dello sviluppo linguistico, di contraddizioni insolute dello sviluppo politico: in altri termini la mancanza di un processo unificatore nella nostra penisola avrebbe agito da freno al processo di unificazione linguistica, che in maniera atipica, rispetto agli altri paesi europei, si sarebbe verificata su basi esclusivamente letterarie]




Infine  un tema sull’argomento fin qui trattato. 

Titolo: La dimensione storica dei fatti linguistici: dal latino all’italiano odierno

Uno degli aspetti più innovativi dell’E.L. nella Scuola Media é l’attenzione alla realtà sociolinguistica italiana. All’interno di tale prospettiva che riguarda lo studio delle varietà sincroniche della lingua italiana odierna, pur nella specificità del riferimento che é essenzialmente di tipo sociolinguistico, non é possibile non tener conto dei fenomeni sociali, demografici e più generalmente storici che producono riassestamenti sociolinguistici: migrazioni interne, superamento di barriere geografiche, influssi culturali, economici e tecnologici non possono non essere chiamati in causa come fattori che hanno determinato l’assetto linguistico odierno, così articolato e complesso, in cui, accanto a una varietà nazionale ne esistono altre socialmente, geograficamente o settorialmente diffuse.
Affini, se non proprio uguali, sono le cause del mutamento storico delle lingue verificatosi nel corso dei secoli; a quelle addotte potrebbero aggiungersi anche le conquiste militari e politiche.

Se sincronia e diacronia sono due aspetti secondo i quali può essere considerata una lingua, secondo la nota distinzione saussuriana, con riferimento alle varietà in atto e a quelle che si manifestano in diversi momenti del suo inarrestabile svolgimento, non c’é dubbio che gli allievi conoscono, e spesso male, solo alcune varietà della prima. Né hanno ancora sviluppato adeguatamente, per la loro giovane età, il senso della storia.

L’attenzione che il testo ministeriale rivolge alla lingua nel suo divenire e ai fattori che l’hanno determinata non può dunque non tener conto, da una parte, della capacità di categorizzazione del tempo degli allievi di scuola media, dall’altra, della loro reale competenza linguistica.
In relazione al grado di maturazione della classe essa può consistere in cenni per creare anche quei collegamenti e forme di cooperazione che l’educazione storico-geografica sollecita. Anche la lingua può diventare infatti una fonte storica, e per giunta a portata di mano in quanto continuamente usata. Del pari il suo differenziarsi nello spazio, oltre che nel tempo, oggi al pari di ieri, può aiutare a comprendere come fattori linguistici, storici e geografici risultino tra di loro correlati.

Nei limiti di cenni storici, il riferimento all’evoluzione storica dell’italiano può quindi andar descritto a più riprese, tenendo d’occhio tre dimensioni fondamentali:
1.       anzitutto l’origine latina dell’italiano e il passaggio dal latino ai volgari;
2.       in secondo luogo l’evoluzione della lingua letteraria, tema al quale si collega la Questione della lingua;
3.       quindi l’evoluzione dei dialetti e delle parlate non colte come momenti separati dalla lingua ufficiale.

Queste tre linee confluiscono appunto nell’italiano odierno che é lingua così stratificata e complessa che non é possibile, anche per gli usi più quotidiani non far riferimento, come ha ben visto il Beccaria, alle sue radici storiche più o meno remote.
Non solo parole di nuovo conio come « paninoteca» e « spinterogeno » rivelano la loro origine greca, ma altre ormai stabilizzatesi saldamente nella nostra lingua sono importate: ad es. « tregua» , « zuffa» , « albergo» di origine germanica; « zucchero» , « magazzino» , « arsenale» di origine araba, per non parlare dei numerosi apporti delle altre lingue europee; tra questi, numerosissimi, quelli derivati dal francese, dal Medioevo ad oggi: 
« ambasciatore» , « ventaglio» , « burocrazia» , « ristorante» , « liquore» , etc.; e ugualmente significativi, anche nei dialetti, i termini di origine spagnola: « posata» , « baule» , « basco» etc.

Il testo ministeriale, nel far riferimento all’origine latina e all’evoluzione storica dell’italiano, sollecita l’insegnante a muovere, appunto, dalla varietà attuale della lingua, dall’uso vivo, per procedere a ritroso nel tempo, in modo da ricavare, attraverso il confronto di documenti di vario genere e attraverso ricerche dell’alunno, quei dati che lo abituino a collocare la lingua nello spazio e nel tempo e lo aiutino a ricomporre le sue conoscenze più varie (storiche, geografiche, scientifiche) e le sue esperienze pratiche.

Solo attraverso uno studio storico che parta dal presente e ritorni al presente sarà quindi possibile rendere gli allievi consapevoli del continuo riassestarsi del patrimonio linguistico e della enorme varietà di apporti che in esso confluiscono (dialetti, calchi, prestiti, lingue settoriali, gerghi etc.).

Il riferimento al latino é forse l’aspetto più insistito nel testo ministeriale. Esso torna nella duplice prospettiva linguistica e storica. Va osservato tuttavia che la presenza del Latino nella Scuola Media si giustifica solo in quanto origine dell’italiano. Esso deve essere considerato quindi come punto di partenza storico e descritto a grandi linee nella sua architettura grammaticale, con frequenti confronti con l’italiano. Il riferimento potrà partire, proprio per muovere dall’esperienza degli alunni, dai numerosi usi cristallizzati del latino nella lingua odierna (« factotum» , « una tantum» , « extra» , « mea culpa» , « deo gratias» ) o dei termini latini circolanti soprattutto nel linguaggio medico (« ictus» , « raptus» , « angina pectoris» ) o da curiose riesumazioni, anche per la mediazione di altre lingue (ad es. « tango» , dal latino « tangere» /toccare, per il noto tango argentino o « record» dall’omonimo inglese derivato dal latino « recordor» , quindi con significato traslato di « cosa da ricordare ».

Si richiameranno quindi alcuni elementi più vistosi della differenza tra le due lingue (flessione nominale e verbale e uso dei casi, ordine delle parole, uso più rigoroso dei rapporti modali e temporali etc.), mentre un maggiore spazio potrà essere dedicato all’affermarsi del latino volgare e all’impercettibile passaggio all’italiano. L’obiettivo del riferimento al latino non é infatti la conoscenza di questa lingua, ma il contributo che essa ha dato all’italiano, contributo che si riduce per l’apporto di altri innumerevoli fili di tradizione linguistica, come abbiamo visto, per essere poi ripreso, attraverso la costante mediazione dei dotti, dal Cinquecento in poi, fino ai nostri giorni, come lingua internazionale della cultura scientifica.

Il riferimento al latino non deve ridursi, come osserva il Simone, a un’arida successione di schemi di grammatica storica, ma inserito nel contesto dell’evoluzione sociale e culturale degli italiani.

Per questo si potranno chiamare in causa, accanto ad alcuni brevi cenni sui principali elementi del mutamento fonetico (ad es. l’esito diverso della o di « pontem» e « tonat» , rispettivamente « ponte» e « tuona» per effetto della diversa pronuncia della o e della uo) o dei principali slittamenti consonantici (assimilazioni come in septem/sette o riduzione in un unico fonema di due fonemi distinti come in clarus/chiaro), una varietà di riferimenti attraenti dal punto di vista dei ragazzi, ad esempio sul lessico che componeva la lingua. Si noterà così come i latini non usavano molti concetti astratti e si avanzerà l’ipotesi che ciò poteva dipendere dalla loro origine contadina. Per questo molte parole comunemente usate erano legate alla vita dei campi. Così « pecunia» significava « bestiame» , ma si collegava a « pecu » , quasi a farci ricordare dell’epoca antichissima in cui i pagamenti si facevano in denaro e non in natura; « ager » /»  « territorio» significava anche « agro» , « campo» ; « letamen» era « ciò che allieta (la terra);» « egregius» oltre a « illustre» significava « scelto dal gregge» e quindi « distinto dalla massa» ; « impedire» significava « ostacolare con il piede» ; e persino i termini filosofici, a meno che non fossero importati dalla Grecia, erano concreti (« considerare» /» guardare le stelle» ; « speculare» /guardare nello specchio).
A questi riferimenti potrà collegarsi l’analisi storica ed etimologica di alcuni termini lessicali, in modo da suscitare la curiosità per la parola e il suo significato e gettare un seme per il progressivo arricchimento del lessico.

Quanto all’evoluzione della lingua letteraria questa introduce un modo nuovo di interpretare i fatti letterari, in quanto dà ad essi una presentazione non puramente incentrata sul contenuto, ma attenta alle considerazioni linguistiche che se ne possono estrarre. Per questo si proporranno testi letterari di diverse epoche, per notare non solo i diversi cambiamenti lessicali intervenuti, ma anche, se pur più lenti, quelli dei costrutti sintattici;.

È muovendo dagli usi letterari della lingua attraverso i secoli che si potrà far riferimento alle ragioni per cui il toscano diventa lingua di cultura, al sorgere e riproporsi in varie epoche della questione della lingua, alle soluzioni conservatrici adottate nel Cinquecento e allo scarto tra lingua ufficiale e lingua parlata, ai moderati tentativi di innovazione e ammodernamento linguistico, in tempi più recenti, fino all’insorgere dell’esigenza, posta dall’unificazione politica, di una lingua comune che uscisse dal chiuso degli usi letterari e delle accademie e servisse a parlare delle cose di tutti i giorni.

Parlando di questione della lingua novecentesca non potrà non farsi riferimento ai potenti fattori di unificazione linguistica verificatisi tra Ottocento e Novecento, in primo luogo la stampa, il cinema, e, in tempi a noi più vicini, la Tv, la scolarizzazione di massa, le mutate condizioni di vita e un maggiore benessere sociale.

E’ in questa prospettiva diacronica che può collocarsi il riferimento ai dialetti, alle loro origini storiche spesso più remote dello stesso latino, alla loro persistenza per secoli come lingua parlata dalle masse, alle ragioni della loro scomparsa odierna.

La somma di tutti questi riferimenti porterà alla consapevolezza che le lingue non scompaiono, ma semplicemente si modificano. Lo dimostra appunto la lingua italiana odierna in cui sono presenti numerosi apporti storici: in essa infatti parole auliche e colte, termini stranieri, voci gergali e dialettali, termini del linguaggio colloquiale si intrecciano così stabilmente da rendere quasi irriconoscibile la loro origine.

É su questa base che la ricerca del significato potrà farsi attività consapevole, il bisogno di dar risposta alle curiosità linguistiche un’abitudine a soddisfarle attraverso la ricerca su dizionari etimologici, la consultazione di dizionari storici, o giornali d’epoca, oppure, in assenza di tutto questo, attraverso la formulazione di ipotesi sul significato, che sono sempre un validissimo strumento per l’acquisizione della lingua, come afferma la Biagi, ancorché non siano oggettivamente valide.

Se tale riflessione potrà essere un primo passo verso l’acquisizione del significato stesso, l’attività complessiva metterà l’allievo in grado di rendersi conto che la lingua non si sviluppa come un organismo che abbia in sé tutte le cause del suo sviluppo, ma é influenzata da forze esogene: sociali, economiche, politiche. Nel suo trasformarsi sta appunto la sua attualità.
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Prof. Maria Mignosa
Concorso a cattedra 1990

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